Shakwan, processo rinviato per la 33esima volta

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A vederlo oggi entrare nell’aula di un tribunale del Cairo, il foto-giornalista egiziano Mahmoud Abu Zeid (detto Shakwan) è apparso sempre più provato e in cattive condizioni di salute: il 20 ottobre è stato persino necessario ricoverarlo in un ospedale esterno alla prigione, tra le cui mura tra l’altro si è preso l’epatite C. Superati ormai ampiamente i quattro anni di carcere, il 31 ottobre l’ennesima udienza del processo ha prodotto soltanto l’altrettanto ennesimo rinvio, il trentatreesimo, stavolta al 7 novembre.

Shawkan è stato arrestato il 14 agosto 2013 mentre si trovava, per conto dell’agenzia fotografica Demotix di Londra, in piazza Rabaa al-Adawiya, al Cairo, a documentare il violentissimo sgombero di un sit-in della Fratellanza musulmana. Fu un massacro con centinaia e centinaia di morti in un solo giorno.

Per aver svolto il suo lavoro, Shawkan rischia una condanna all’ergastolo per questo lungo elenco di pretestuose accuse: “adesione a un’organizzazione criminale”, “omicidio”, “tentato omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”, “ostacolo ai servizi pubblici”, “tentativo di rovesciare il governo attraverso l’uso della forza e della violenza, l’esibizione della forza e la minaccia della violenza”, “resistenza a pubblico ufficiale”, “ostacolo all’applicazione della legge” e “disturbo alla quiete pubblica”.

Il suo “reato” è solo quello di aver fatto il suo lavoro. Si chiama giornalismo.


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