Non c’è pace per la Somalia, né per gli stranieri né per la popolazione locale. Ancora una volta Mogadiscio è stata bersaglio del gruppo terrorista al-Shabaab a sole due settimane dal duplice attacco in cui hanno perso la vita quasi 360 persone, il più nefasto nella storia del Paese.
Questa volta gli estremisti islamici hanno assaltato, nel pomeriggio di sabato, un hotel della capitale somala dando il via a un assedio durato circa 12 ore e conclusosi con un bilancio di almeno 27 morti.
La polizia ha catturato tre militanti che non sono riusciti a farsi esplodere come altri due che hanno dilaniato tutti gli ospiti presenti nell’area interessata dalla deflagrazione.
Obiettivo dei terroristi è la destituzione del governo riconosciuto a livello internazionale e l’imposizione di una rigida legge islamica nella società. La scelta del luogo da colpire non è stata casuale, l’hotel Nasahablod Two è vicino al palazzo presidenziale. A distanza di cinque minuti dall’esplosione dell’autobomba davanti all’ingresso della struttura alberghiera, un’altra vettura è saltata in aria nei pressi dell’ex sede del Parlamento.
Nell’hotel, secondo la polizia, c’erano civili, deputati e miltiari. I terroristi, che hanno fatto irruzione dopo che le barriere protettive erano state abbattute, si sono barricati all’interno e hanno iniziato uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza, che nel frattempo erano intervenute anche per portare in salvo i presenti.
Secondo alcune indiscrezioni, una donna sarebbe stata decapitata e i suoi tre figli uccisi a colpi d’arma da fuoco.
Le azioni violente di al-Shabaab stanno diventando più frequenti e devastanti nella fase più delicata per il Paese. I circa 22mila militari dell’Unione africana impegnati in una missione di peacekeeping si preparano a ritirarsì.
La presenza attiva del gruppo islamista dimostra che nessun contrasto messo in campo finora sia riuscito a riportare una situazione di stabilità politica.
Gli attacchi delle ultime settimane evidenziano quanto le istituzioni locali rimangano ancora molto fragili e come l’impegno della comunità internazionale dovrebbe continuare e rafforzarsi. Ma un intervento più determinato non sembra sia all’ordine del giorno dell’agenda internazionale. E al Shabaab, come altri gruppi islamisti radicali, ne stanno approfittando per mettere in campo tutte le loro forze e prendere in mano il potere con l’obiettivo di allargare il raggio di azione in Kenya e negli altri paesi confinanti.
La Somalia rappresenta il trampolino di lancio per il resto dell’Africa dell’est, anche grazie ad aiuti ‘esterni’ che in qualche modo interferiscono nelle ‘questioni somale’.
Non a caso le armi continuano ad arrivare facilmente.
Per contrastare il terrorismo in Somalia serve un ripensamento dell’azione internazionale, a cominciare dal supporto incondizionato a un governo che non sempre è apparso all’altezza delle aspettative.
La situazione di precario equilibrio e di crescenti tensioni tra fazioni contrapposte sono state terreno fertile per gli estremisti che in un Paese stremato dalla guerra civile e in balia di gruppi tribali hanno fatto ampio proselitismo. E non solo in Somalia.
Da tutta la regione del Corno d’Africa, martoriata tra l’altro dalla carestia, continuano a giungere notizie di scontri e attentati, anche nei confronti di giornalisti.
La Somalia è uno dei luoghi più pericolosi per la stampa. Dal 2007 a oggi almeno 50 operatori dell’informazione sono stati uccisi nel paese.
Per il Committee to Protect Journlists la categoria è presa di mira sia dagli estremisti islamici che da organi di Stato. Anche chi manifesta dissenso, come l’azione dei media liberi, è oggetto di intimidazioni. Non è mancato, tra gli oppositori che non si sono piegati alle logiche governative, chi è stato punito con la morte.
Il paese è risultato al 164esimo posto su 179 nell’ultima classifica sulla libertà di stampa e di expression di Reporter Senza Frontiere.