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Grasso lascia il Pd. Guida Mdp all’orizzonte

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Non è stata una sorpresa. Piero Grasso si è dimesso dal gruppo parlamentare del Pd di Palazzo Madama e si prepara ad aderire a quello Misto. Sarà una tappa intermedia. Il presidente del Senato sembra far rotta verso il Movimento dei democratici e progressisti (Mdp in sigla), la forza politica nata dalla scissione del Pd lo scorso febbraio su iniziativa di Bersani, D’Alema,  Speranza, Enrico Rossi.

L’addio di Grasso al Pd è dovuto ai duri contrasti con Matteo Renzi e con Paolo Gentiloni. Luigi Zanda ha ufficializzato i forti dissensi. Dopo aver parlato con Grasso al telefono, ha annunciato: “Grasso si è dimesso dal gruppo del Pd principalmente perché non condivide la linea politica del partito e, in particolare, le decisioni sulla legge elettorale”.

Il capogruppo democratico, però, ha definito la notizia delle dimissioni “inaspettata e in nessun modo prevedibile”.  E qui c’è qualcosa che non va. L’irritazione e le critiche del presidente del Senato al segretario del Pd e al presidente del Consiglio, pur fatte a bassa voce, erano note e cresciute negli ultimi mesi. Non a caso si è dimesso ieri, quando il Senato ha approvato in via definitiva, dopo ben 5 voti di fiducia chiesti dal governo, il cosiddetto Rosatellum bis, la nuova legge elettorale per le politiche.

A Grasso non sono piaciuti né gli 8 voti di fiducia (3 alla Camera) che hanno compresso il dibattito parlamentare né i contenuti della riforma elettorale votata da una maggioranza Pd, Alternativa popolare di Alfano, Ala di Verdini, Forza Italia di Berlusconi, Lega Nord di Salvini. Una legge attaccata dal M5S, dal Mdp e da Sinistra italiana. Gentiloni ha chiesto i voti di fiducia, su una forte sollecitazione di Renzi, per evitare le trappole dei voti segreti e le imboscate dei “franchi tiratori” della maggioranza di governo.

Così è arrivato il divorzio dal Pd. La rottura, però, era nell’aria. Grasso a fine settembre aveva fatto un significativo e applauditissimo discorso a Napoli alla Festa del Mdp, nato dalla scissione dell’ala sinistra del Pd. Quando gli hanno chiesto se e con chi si sarebbe candidato alle elezioni, aveva usato grande cautela: “Il mio futuro non lo conosco. Da presidente del Senato non posso dire nulla, altrimenti domani non potrei presiedere l’aula”. Però aveva aggiunto tra gli applausi scroscianti e con Pier Luigi Bersani seduto in prima fila: “Ero e sono rimasto, un ragazzo di sinistra”. Senza nominarlo aveva criticato Renzi: “Non si può guardare al centro e a destra”. Sottintese erano le critiche al Rosatellum bis e al rinvio della legge sullo “Ius soli”, il provvedimento per estendere il diritto di cittadinanza agli immigrati.

Roberto Speranza, subito dopo le dimissioni, ieri ha cercato d’intercettare immediatamente il malumore del presidente del Senato e gli ha spalancato le porte di Mdp: “Noi continueremo ad impegnarci per dare vita a quel progetto visionario a cui proprio Piero Grasso ha fatto riferimento nel suo intervento a Napoli”. Il giovane coordinatore dei bersaniani non lo dice, ma la sinistra a sinistra del Pd avrebbe grandi progetti per Grasso. Se cadesse, come sembra, il disegno di incoronare a novembre Giuliano Pisapia come leader del nascituro partito della sinistra radicale, allora potrebbe salire sul ponte di comando Grasso. Bersani aveva offerto a Pisapia di essere il leader di “Insieme”, ma l’ex sindaco di Milano è entrato in rotta di collisione con gran parte di Mdp (in testa Massimo D’Alema) e di Sinistra italiana (Nicola Fratoianni e Stefano Fassina).

Pisapia punta a costruire una coalizione di centro-sinistra ampia, comprendente il Pd mentre quasi tutti non vogliono sentire nemmeno parlare, ricambiati, di un’alleanza con Renzi. Così salgono le quotazioni di Grasso, presidente del Senato, ex Procuratore nazionale antimafia. E’ un nome di prestigio che può tonificare le sinistre radicali e spingerle all’unificazione. Da molti la sua leadership è vista come l’unica strada per superare i tanti contrasti tra le diverse sinistre critiche che rischiano di non superare nemmeno la soglia del 3% dei voti  prevista dal Rosatellun bis per entrare in Parlamento. Ci sarebbe però la singolarità, un tempo inaudita, di un ex alto magistrato alla guida di un partito di sinistra. Ma la Seconda Repubblica ha visto l’affermazione di tante stranezze politiche.

Fonte: www.sfogliaroma.it


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