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L’incivile Derby tra tifoserie violente e razziste. Il calcio droga per la distorsione politica

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Chi si ostina a dire con ogni mezzo espressivo che non è vero che furono 6 milioni gli ebrei sterminati e mandati “in fumo” nei campi di concentramento dai nazisti e fascisti, ma erano molti di meno, “scomparsi” o morti per malattie in campi di prigionia, è solo un “REVISIONISTA E NEGAZIONISTA STORICO”. E come tale andrebbe incriminato e condannato, come avviene in Francia. Che poi siano tifosi di una squadra o di un’altra (Lazio o Roma è lo stesso), offende tuto lo sport e non solo la memoria di Anna Frank, martire e scrittrice di prima grandezza (il su libro è tra i più letti al mondo, dopo la Bibbia), e l’ebraismo, primogenitore riconosciuto delle religioni cristiana e musulmana. “Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori”, riaffermò papa Francesco durante la sua storica visita nel 2016 alla sinagoga di Roma, ricordando le stesse parole già dette dal pontefice Giovanni Paolo II. “Il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna”, ricordò Francesco, “che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace”.

Il tifo demenziale e delinquenziale che ormai affonda le radici tra le varie squadre italiane è in realtà un’estensione della partigianeria politica trasferita negli stadi, ma con più violenza e senza le mediazioni della “parola”, della dialettica. Spesso si arriva anche ad uccidere, non solo ad offendere calciatori e gruppi delle tifoserie avversarie. A questi gruppi organizzati si sono da tempo piegate le società calcistiche, che nulla in concreto fanno contro i tanti club facinorosi, perchè altrimenti perderebbero gli introiti delle partite e delle trasferte, oltre che del merchandising. I casi recenti di inchieste giudiziarie su alcuni grandi società che sarebbero ricattate da fan-club, collusi con organizzazioni criminali, per la gestione della vendita dei biglietti, stanno a dimostrare come è sottile la linea di demarcazione tra organizzazioni sportive, tifoserie e gruppi violenti e razzisti.

I tifosi ultimamente si sono trasformati in una massa decerebrata in mano a gruppi di potere politico affaristico per procacciare voti e radicalizzare lo scontro politico

Oltre ai SocialNet, dove si sprigionano gli istinti più belluini, ci sono pure pubblicazioni, soprattutto online, radio e tv locali che soffiano sulla brace della partigianeria più scalmanata, che viene strumentalizzata anche per fare pressioni verso le società al fine di esonerare questo o quell’allenatore non proprio gradito, oppure ad esaltare o denigrare giocatori, in funzione di acquisti e cessioni interessate.

E’ un connubio osceno che purtroppo non si può cancellare neppure portando corone in una sinagoga o indignandosi con parole rituali e facendo leggere brani del Diario e indossando maglietti con sopra l’effige di Anna Frank.

La “responsabilità oggettiva” che penalizza solo le società, con la chiusura temporanea delle curve o delle trasferte, non è sufficiente né del tutto giusta, a mio parere. Non si colpisce in profondità così quei gruppi di esaltati, che utilizzano lo stadio come estensione del campus politico, dove mostrare i muscoli e annegare il cervello. Punire anche i tifosi corretti non ha senso, perchè questi ultimi si allontanano dallo stadio, lasciando di fatto libero spazio ai violenti. Dal CONI alle società calcistiche si devono stralciare questi fan-club, allontanare per sempre i loro capi-clan, arcinoti alle organizzazioni private di sicurezza degli stadi, e far distruggere subito (anche interrompendo le partite momentaneamente) striscioni e quant’altro mostrabile sulle curve. Allora potremo tornare a parlare di sport. Un compito particolare dovrebbero inoltre svolgere i media, dai grandi giornali stampati e online, alle maggiori Radio e TV, pubbliche e private, affinchè i toni e i confronti, prima e dopo le partite, siano ricondotti su di un piano di reciproco rispetto, senza esaltare o persino colpevolizzare momenti particolari e i protagonisti.

In questi mesi di autunno inoltrato, 35 e 25 anni fa, scomparivano due illustri giornalisti sportivi, amanti del calcio, estremamente colti: Beppe Viola, radiotelecronista RAI, e Gianni Brera, prima editorialista al Corriere della Sera, poi a Repubblica. Grandi amici, profondi cultori della letteratura, caratteri forti, amanti della vita e tifosi meneghini. Eppure il loro scrivere era lirico e poetico, a volte ironico: raccontavano le partite, il mondo e i protagonisti del “pallone” con toni arguti e riferimenti letterari. Mai una caduta di stile o un ricercare facili applausi dalle tifoserie contrapposte. Parlavano e scrivevano di calcio, andando “oltre il calcio”, portando i lettori e i telespettatori verso confini più ampi, per disintossicarli delle amarezze o per farli gioire con semplicità delle vittorie, delle giocate rocambolesche dei loro “eroi”. Sarebbe utile insegnare alle nuove leve dei giornalisti sportivi e ai tanti giovani che si recano allo stadio solo per godersi una partita di pallone, che quelle cronache fossero fatte rivedere e studiare. Anche questo “esercizio di memoria” potrebbe tornare utile alla disintossicazione dei “drogati dello stadio”.


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