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Facebook. La censura al tempo degli algoritmi

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Nell’aprire la mia pagina Facebook un paio di giorni fa ho scoperto che un post che ho pubblicato (peraltro sei mesi fa) è stato considerato “non conforme agli standard della comunità” e di conseguenza non solo rimosso, ma avendo io violato, con questa pubblicazione, tali “standard”, sono stata “punita” con un blocco di tre giorni. Blocco che non coinvolge solo la mia pagina personale (il che non sarebbe un problema) ma anche la pagina FB della testata giornalistica da me diretta (e regolarmente registrata al Tribunale di Trieste). Il lato grottesco (o, se vogliamo, kafkiano) di questo blocco è però che ciò che avrebbe violato gli standard di Facebook in quanto conteneva contenuti “razzisti”, era semplicemente la mia condivisione di un comunicato stampa che annunciava, per il 22 aprile scorso, una manifestazione a Pontida in nome dell’“orgoglio terrone”, denominazione data da alcune realtà napoletane (che si autodefinivano loro stesse, ironicamente, terroni) ad manifestazione indetta in risposta al da loro non gradito comizio di Matteo Salvini nella loro città.

“Terrone” è la parola incriminata perché razzista, secondo gli algoritmi di Facebook. Che, essendo appunto algoritmi e non cervelli pensanti, non sono in grado di distinguere il contesto in cui la parola è stata usata: in tal modo sono ugualmente censurabili (secondo gli standard del social di Zuckerberg) quelli che scrivono terrone come offesa e quelli che denunciano e deplorano l’uso razzista di questa parola, dicendo, ad esempio, “è infame definire terroni i napoletani”. In questo calderone di censure da algoritmo è capitato più volte che venissero bloccati piuttosto i profili di coloro che stigmatizzavano, citandoli, comportamenti razzisti altrui, che non i profili di coloro che avevano postato i comportamenti razzisti che avevano scatenato le critiche.

Al di là dell’algoritmo che non è un essere pensante e dietro il quale, evidentemente, non vi sono operatori dotati di pensiero umano (ho scritto tre volte – come previsto dalla procedura di FB – per spiegare che il blocco è ingiusto, dato che il mio post non aveva nulla di razzista ma era contro il razzismo, senza ricevere alcun cenno di risposta), sta comunque la malafede dell’essere umano pensante che ha segnalato un post (di sei mesi fa) per bloccare la mia attività, probabilmente proprio perché la mia attività è contro i razzismi e la xenofobia.

*direttore responsabile del periodico La Nuova Alabarda


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