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Renzi versus Bankitalia. Quando si spara “a salve” contro i “sancta sanctorum”

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Finora a “sparare sul quartier Generale” di Palazzo Koch era stato, quasi 40 anni fa, il gruppo di potere che faceva capo all’allora presidente del consiglio, il democristiano Andreotti (il “Divo” Giulio così fantasticamente descritto dal regista Sorrentino). Ma nel marzo del 1979 l’Italia era intrappolata nella tela di ragno ordita contro le istituzioni democratiche da parte degli influenti membri della Loggia massonica deviata P2, guidata da Licio Gelli.

Alcuni magistrati zelanti del “porto delle nebbie” (come si definiva il Palazzo di Giustizia di Roma, che certo non brillava per indipendenza e senso dello stato), che si potevano ricondurre al “cerchio magico” del politico ciociaro di lungo corso, sferrarono un attacco senza esclusione di colpi al vertice di Bankitalia, ritirando il passaporto al governatore Paolo Baffi e incarcerando il suo braccio destro, il Vice Direttore generale, Mario Sarcinelli. La loro colpa era di aver svolto essenzialmente con imparzialità e in assoluta indipendenza il ruolo di “vigilanza” nei confronti dello scandalo bancario del bancarottiere, colluso con la mafia e i piduisti, Michele Sindona.

Le indagini di Bankitalia si erano essenzialmente concentrate su tre casi, che avrebbero scosso il mondo colluso tra potere politico- gruppi imprenditoriali-salotti buoni e ambienti malavitosi: il caso dei finanziamenti di “favore” erogati dall’Italcasse, ribattezzata la “banca della DC”; la capillare ispezione con relativa censura al Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi (anni dopo “suicidato” sotto il ponte dei Frati neri a Londra), porta d’ingresso vero lo IOR del Vaticano, allora in mano al potente arcivescovo Paul Marcinkus, anche lui piduista; l’opposizione al salvataggio delle banche proprio di Sindona (poi avvelenato in carcere con un caffè “alla Pisciotta”) e, invece, appoggio incondizionato al commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli, ucciso nel luglio del ’79 in un agguato di stampo mafioso.

Altra colpa del duo Baffi-Sarcinelli era anche di non provenire dagli ambienti massonici sia laici, sia cattolici, che erano preminenti a Palazzo Koch e che spesso determinavano le carriere fino a livello del potente Direttorio. E poi erano “graditi” negli ambienti del PCI e degli economisti liberal e keynesiani. Baffi e Sarcinelli furono poi del tutto prosciolti due anni dopo il “fattaccio”.

Alcuni settori della politica italiana, da destra a sinistra, 40 anni dopo si incagliano ancora una volta nella palude dei conflitti di interessi, palesi ed occulti, tra affari e finanza, mescolando indebitamente pubblico e privato. Dalla prima Repubblica alla terza la sostanza non cambia. Superata la sismica epoca di Tangentopoli, quando si scambiavano cartelle in pelle zeppe di banconote, si è scelta la via meno rischiosa delle Fondazioni bancarie. E così, con il paravento della legalità, si sono messi i propri fiduciari nei consigli di amministrazione delle banche, che a loro volta erogavano crediti inesigibili, in cambio di favori elettorali, di appalti pubblici, di posti manageriali, di speculazioni edilizie e di improbabili iniziative imprenditoriali.

Ma nessun governo, tantomeno dal 2011 con l’economista ed ex-vicepresidente della Commissione Europea, Mario Monti, e poi con lo stesso Renzi a Palazzo Chigi, si è dato la briga di scompaginare questo intreccio perverso tra Fondazioni bancarie, potentati locali e partiti. Anzi, gli appetiti sono cresciuti! Tanto, nonostante le indagini della Vigilanza di Bankitalia, nessun provvedimento veniva preso neppure dalla Consob, da tempo commissariata, ma pur sempre in mano al berlusconiano, ex-senatore ed ex-viceministro Giuseppe Vegas, per gli istituti quotati in Borsa. Quel Vegas, tra l’altro, che designato il 18 novembre 2010 dal governo di destra alla carica di presidente della Consob, continuò a partecipare ai lavori della Camera dei deputati fino al voto di sfiducia al governo Berlusconi del 14 dicembre 2010, quando per soli 2 voti restò in sella: le sue dimissioni furono, chissà come, calendarizzate dopo i voti sulle mozioni di sfiducia.

Ma il PD renziano, che sta “dalla parte dei risparmiatori”, nella sua accusa non tocca la Consob e neppure le Fondazioni, per omessa vigilanza. Eppure le Fondazioni, infarcite di ex-esponenti dei partiti locali o di personalità direttamente a loro collegate, hanno preferito girare gli occhi dall’altra parte, visto che, secondo gli ispettori della Vigilanza di Bankitalia, hanno addirittura avallato bilanci “addomesticati”. Mischiando le carte e giocando con i numeri, si è arrivati al tracollo di alcune note banche: Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Carige, Etruria, Marche, Chieti e Ferrara. Per arrivare al grande bubbone di Montepaschi di Siena. Miliardi di euro in fumo; risparmiatori, il più delle volte pensionati o piccoli imprenditori e artigiani, lasciati nella disperazione e senza più fondi. Un ennesimo indebitamento dello stato italiano per mettere una pezza al sistema, che perde comunque autorevolezza a livello europeo.

Un caso esemplare è quello del Montepaschi Siena. Per decenni esponenti socialisti comunisti, spesso iscritti alla massoneria toscana se le sono date di santa ragione. Storicamente la massoneria inglese sbarcò a Livorno agli inizi del Settecento. Fin dall’inizio conquistò gli ambienti intellettuali, militari e professionali del Granducato di Toscana, estendendosi nel Novecento anche al mondo cattolico. Nel dopoguerra, si acuirono le lotte di potere tra socialisti e comunisti, anche tra gli stessi amministratori locali comunisti del comune e della provincia per la scelta dei Provveditori: sgarbi, gelosie e vendette, come i contendenti delle diverse contrade del Palio. In realtà, lotte di potere e di influenze, per elargizione di fondi e di posti nelle istituzioni e negli incarichi politici. Da questo crogiuolo sono derivati gli assetti di potere politico e bancario nella Toscana odierna.

Il 25 giugno 1999 la Banca Monte dei Paschi di Siena veniva quotata alla Borsa Valori di Milano con un’offerta pubblica che fa registrare richieste di acquisto pari a dieci volte l’offerta. Con la quotazione in Borsa cominciava un’intensa fase di espansione territoriale. Vengono acquisite partecipazioni in significative banche regionali con forte radicamento territoriale, tra cui Banca Agricola Mantovana (BAM), di origine cooperativistica, e Banca del Salento (poi Banca 121). Pronubi di questi matrimoni il governo dalemiano con la sua “merchant bank dove non si parla inglese”, come definì sarcasticamente lo staff personale del leader post-comunista il grande giurista e civil servant Guido Rossi.

E così MPS divenne un gigante dai piedi di argilla, mentre le fazioni interne politiche e massoniche si sfidavano con i coltelli tra i denti.

E nel frattempo i controllori dove erano? Oltre a Bankitalia, che seppure con affanno aveva lanciato l’allarme, cosa facevano l’ABI (l’associazione di categoria che dovrebbe operare una moral suasion sui banchieri associati e in qualche modo togliere le “mele marce” dal mercato finanziario), le Fondazioni e la Consob? Se non fossero intervenute le autorità comunitarie, attraverso anche la BCE, oggi il buco si sarebbe trasformato in una voragine, infettando l’intero settore bancario e azionario italiano.

Eppure con una mossa da rottamatore populista Renzi oggi, come ieri con altri mezzi Andreotti (entrambi provenienti dalla stessa “famiglia politica” democristiana), ha esternato rancori contro un’istituzione, Bankitalia, che andrebbe invece “maneggiata con cura”, pur nei suoi errori di controllo. In effetti, la Vigilanza di Bankitalia è da tempo che appare blanda, se non acquiescente alle documentazioni addomesticate degli istituti bancari “sofferenti”. Ma è dai tempi di Fazio e Desario, quando questi era capo della Vigilanza, che serpeggia dentro i corridoi paludati di Palazzo Koch un senso di frustrazione tra i dirigenti non allineati nei due schieramenti, proprio per questa disattenzione istituzionale.

Da qui si dovrebbe ripartire, dalla riforma dell’intero sistema di controlli e di gestione del settore dalla Consob, alle Fondazioni e alla stessa Bankitalia, dalla separazione tra banche d’affari e di risparmio, dalla Consob, dalle Fondazioni e dalla stessa Bankitalia, proprio per venire incontro ai risparmiatori e a quanti hanno necessità di crediti per sviluppare imprese, aprire commerci, attingere a mutui, come accade nel resto dell’Unione Europea. Altro che una ennesima Commissione d’inchiesta, presieduta da uno degli esponenti più in vista della vecchia nomenclatura partitica, come Casini!


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