Dal voto del primo ottobre, di irresponsabilità in irresponsabilità, siamo giunti all’applicazione dell’Articolo 155 della Costituzione spagnola, che consente di intervenire sulle Autonomie locali e i loro organi rappresentativi, nel caso queste agiscano in maniera contraria agli interessi dello stato. Una misura mai applicata in democrazia, che costituisce un aggravamento della crisi e apre a scenari che saranno di difficile gestione.
Un approdo evitabile, al quale si è giunti per le scelte dei protagonisti di questo scontro istituzionale, la Generalitat catalana (il governo regionale autonomico) e il governo centrale guidato da Mariano Rajoy.
Prima il governo catalano ha promosso un referendum senza alcun valore legale e democratico, infrangendo le stesse norme catalane a tutela della legalità e della democrazia. Un’irresponsabilità raccolta e riproposta nella decisione di Madrid di mettere in scena l’angusta commedia dello stato di eccezione, schierando un apparato poliziesco di 17 mila agenti per di impedire quella che, dopo la sentenza del Tribunale costituzionale, era ormai solo un’azione politica simbolica. Un’operazione miseramente fallita, che è anzi riuscita a convincere i molti che erano ostili a quella celebrazione indipendentista che quel voto fosse ormai una questione di difesa della democrazia contro una ingiustificata repressione, oltre a dare al mondo l’immagine di una Spagna all’ombra dei manganelli.
Il dieci ottobre Carles Puidgemont è andato al Parlament e non ha dichiarato l’indipendenza, del resto sarebbe spettato all’Aula non al Presidente della Generalitat. E Madrid ha finto di non capire quel che hanno visto i corrispondenti e inviati della stampa internazionale, che così hanno capito il ministro degli esteri spagnolo, Alfonso María Dastis, i deputati del Psc, di En Comù e, soprattutto, i soci di Govern della Cup, la lista anticapitalista nazionalista, che non hanno per niente gradito la cosa.
Era evidente come il governo centrale non potesse accettare le richieste fatte da Puigdemont, un dialogo “senza condizioni”, e men che meno una mediazione internazionale che avrebbe dato dignità al processo referendario, attuato al di fuori della legge, e soprattutto al concetto stesso della secessione. Ma Rajoy ha scelto ancora di continuare a perseguire lo scontro. Ha lanciato quindi un doppio ultimatum. Il governo catalano doveva “chiarire” se avesse dichiarato o meno l’indipendenza, entro lunedì scorso – ogni risposta che non fosse un sì o un no veniva considerata un sì – e nel caso, avrebbe avuto tempo fino a giovedì scorso per rettificare la dichiarazione.
Rajoy avrebbe potuto invitare Puigdemont a chiarirsi alla Moncloa, la sede del governo spagnolo. Non ha voluto fare nessun gesto per abbassare la tensione ma anzi ha emesso il doppio ultimatum, che ha spedito via Burofax – un servizio delle poste spagnole che certifica consegna e contenuti delle comunicazioni.
Al primo ultimatum, Puidgemont rispondeva via sempre Burofax Che rinnova la “sospensione”, lamenta la repressione e richiede negoziazione. A stretto giro arriva il Burofax di risposta di Rajoy.
Poi, giovedì, alla seconda scadenza arriva il Burofax di Puigdemont – cosa dire di una politica i cui massimi leader non alzano il telefono ma comunicano attraverso strumenti di certificazione di terzi? -. “Il popolo catalano il giorno 1 di ottobre, ha deciso l’indipendenza col supporto di un’elevata percentuale di elettori. Una percentuale superiore a quella che ha permesso di iniziare il processo della Brexit e con un numero di catalani maggiore di quello che votò lo Statuto d’autonomia di Catalogna”. Un inizio traballante, visto che al referendum britannico – che era legale e rispondente alle garanzie democratiche – votò il 72,2 per cento degli aventi diritto contro il 43 del primo ottobre e che al voto per lo Statuto del 2006 partecipò il 48,8 per cento.
Poi, dopo aver richiamato alla gravità del momento, assume un tono infantilmente minaccioso per, con una piroetta finale, ammettere quel che Rajoy non ha capito, cioè che il 10 ottobre non ci fu nessuna dichiarazione unilaterale d’indipendenza.
“Se il governo dello Stato persiste nell’impedire il dialogo e continuare la repressione, il Parlamento di Catalogna potrà procedere, se lo riterrà opportuno, a votare la dichiarazione formale d’indipendenza che non votò il giorno dieci di ottobre”.
Il governo risponde, questa volta con un comunicato. L’accordo con Psoe e Ciudadanos (C’s) è già partito, per la giornata di oggi un consiglio dei ministri richiederà al Senato di votare l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione. Il copione non va cambiato.
E oggi alle 13 arriva la richiesta del governo al Senato per l’applicazione dell’articolo 155. La Camera alta è quella competente a votare l’applicazione dell’articolo. Lì la maggioranza del Pp è ancora più solida e l’accordo con Psoe e C’s rende certo il risultato del voto.
I giorni scorsi son stati quelli delle anticipazioni degli ambiti di applicazione del 155, oggi il governo ha spiegato i dettagli. La misura più drastica è la cessazione delle funzioni di Presidente, vicepresidente e Governo catalano. Carles Puigdemont, Oriol Junqueras e tutti i consellers, cioè I membri della Giunta, decadranno e verranno sostituiti nelle funzioni “dagli organi e autorità che il governo riterrà adeguate”. La vicepresidente Soraya Sáenz de Santamaría ha spiegato che appena arriverà l’approvazione del Senato il governo farà un organigramma e procederà alle designazioni. In linea di massima saranno i ministeri nazionali a prendere in carico le varie competenze. Il Parlament non verrà invece sciolto. I deputati resteranno in carica, così anche la presidente Carme Forcadell. Verranno però limitate le sue competenze, a partire dalla possibilità di eleggere le cariche che vengono cessate. La finanza catalana era già stata commissariata dal ministro delle Finanze in occasione del referendum illegale, per controllare che non venissero spesi soldi pubblici per la sua organizzazione, e le cose continueranno così.
Il governo assumerà anche il comando dei Mossos d’Esquadra e potrà disporre delle sorti dei responsabili di TV3 e Catalunya Ràdio, le emittenti radiotelevisive pubbliche controllate direttamente dal governo catalano. Se ne è parlato molto nei giorni scorsi, oggi non è stato detto esplicitamente ma l’accordo con Psoe e C’s prevede esplicitamente di intervenire per garantire “una informazione veritiera, obiettiva e equilibrata, rispettosa del pluralismo politico, sociale e culturale e anche dell’equilibrio territoriale; così come la conoscenza e il rispetto di valori e principi contenuti nella Costituzione (spagnola) e nello Statuto (catalano). Un bel programma di libera informazione imposta coi commissari. Lo scopo finale sarà quello di ripristinare la legalità e giungere a nuove elezioni. Che il Psoe vorrebbe entro gennaio ma per il quale il governo si è preso almeno sei mesi.
E adesso, cosa accadrà? In apparenza tutti sono arrivati dove volevano, alla messa in scena nel suo massimo splendore della crisi istituzionale. Per arrivare a ciò due poteri irresponsabili hanno disatteso ogni obbligo politico e istituzionale e negato ogni possibilità di riportare il confronto nel piano più consono della politica, sottraendola allo scontro istituzionale.
La dichiarazione dell’applicazione dell’articolo 155 non sarà immediata, per quanto il Senato abbia già oggi preso in carico la pratica arrivata dal governo ci vorranno tra i sette e i dieci giorni prima che la Camera alta possa votare il provvedimento. Il governo ha già consegnato la sua proposta al presidente del Senato, Pío García-Escudero. Adesso una commissione senatoriale dovrà ascoltare Puigdemont che potrà produrre le sue motivazioni. La data segnalata del 27 ottobre potrebbe arrivare al lunedì successivo
Bisogna capire se questo tempo passerà invano o se si produrranno fatti nuovi che consentano di evitare di arrivare al fondo della china. Per quanto si sia presentato il 155 come la risoluzione della problematica fase attuale, esso invece inasprirà il quadro.
Da un lato il commissariamento della Generalitat costituisce un unicum nella giovane democrazia spagnola. La sua applicazione sarà complessa e di difficile attuazione, oltre che politicamente non indolore anche per il fronte apparentemente compatto di chi appoggia la sua applicazione. Le diverse visioni di Psoe e Pp si son già viste negli scorsi giorni e anche il Partito socialista catalano (Psc, il Psoe è un partito federale) ha già fatto sapere che l’applicazione non suppone nessun “assegno in bianco” al Psoe circa la sua applicazione. Il segretario Miquel Iceta si è riunito ieri riservatamente con Puigdemont. La versione di Iceta è che ci sono solo due opzioni, “convocare elezioni o andare al Senato a offrire un patto di stato per la Catalogna”. Il Psc rischia di essere schiacciato dall’accordo del Psoe sul 155. E prova a convincere Pugdemont della necessità di un cambio di atteggiamento che riesca a bloccare il commissariamento ma che preveda anche tempi più lunghi per tornare al voto – un voto che vede mal messo i democratici catalani nei sondaggi.
Le cose si mettono male anche per il tavolo che dovrebbe discutere la riforma costituzionale. Ottenuto dal segretario socialista Pedro Sánchez dal Pp, in cambio dell’appoggio sul 155 e mostrato come prova della volontà socialista a discutere le riforme nei luoghi appropriati, sarebbe illusorio pensare che possa avanzare con una Generalitat commissariata, nel pieno della crisi istituzionale. Anche Sánchez avrebbe vantaggi da una ricomposizione del conflitto ma non sappiamo se abbia le idee e la forza per attuarle.
Il quadro politico subisce i colpi del possibile 155. Ciudadanos, Pp e Psoe sono naturalmente a favore mentre dal resto dei partiti arrivano allarmate reazioni. Di “golpe” parlano i partiti catalani, Esquerra republicana e democratici, ma anche la sindaca di Barcellona, Ada Colau, e Podemos repingono l’iniziativa come antidemocratica.
Anche il Pnv considera sproporzionata la sua applicazione da parte del governo che “distrugge tutti i ponti” con un’interpretazione del 155 “lassista e impropria che costituisce un pericoloso precedente”, ha detto il portavoce alla Camera dei deputati Aiton Esteban. Una conferma che il Pnv non voterà la Legge di bilancio, il che porta la Spagna pericolosamente vicina all’esercizio provvisorio. L’Europa, che ieri si è stretta attorno a Rajoy chiudendo ogni strada a una trattativa con la sua mediazione e cancellando qualsiasi ipotesi di riconoscimento di una secessione, non è detto che diventi per questo anche magnanima. Pure a Bruxelles devono ormai avere fatto attenzione anche alle mancanze di Madrid, alla negazione, negli ultimi cinque anni da parte del governo di intraprendere qualsiasi tentativo per aprire un tavolo di confronto con la Catalogna.
Mentre scriviamo una enorme manifestazione si sta svolgendo a Barcellona, con lo slogan “Llibertat Jordi Sànchez i Jordi Cuixart. En defensa dels drets i les llibertats”. Sànchez e Cuixart sono rispettivamente i leader della Assemblea nazionale catalana e di Òmnium Cultural – le due associazioni non governative ma molto vicine alla Generalitat che hanno costituito il motore dell’indipendentismo catalano – arrestati il 16 ottobre con la grave accusa di sedizione. Una piattaforma di oltre sessanta associazioni, tra le quali i maggiori sindacati, ha organizzato la protesta. Non è una manifestazione indipendentista ma vi si misureranno sia gli indipendentisti che coloro che vogliono sottrarsi alla tenaglia dei nazionalismi contrapposti, i “bianchi” che hanno messo in marcia le iniziative di Hablemos/Parlem, i partiti delle sinistre non nazionaliste, una parte di elettori del Psc, anche se non la dirigenza. Ci sono la sindaca Colau, tutti i vertici della Generalitat e una moltitudine di persone per chiedere la libertà di quelli che vengono considerati, nell’Europa del XXI secolo, dei prigionieri politici.