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“Provaci ancora Prof!”: quando la Rai sa essere normale

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Si è conclusa ieri sera la settima serie di “Provaci ancora Prof!”, il gustoso sceneggiato con Veronica Pivetti, Paolo Conticini ed Enzo Decaro che quest’anno ci ha tenuto compagnia per otto puntate.
Nato dalla fertile penna di Margherita Oggero, il personaggio della professoressa Camilla Baudino ha conquistato, poco a poco, le simpatie di milioni di italiani, attratti dalla normalità di storie semplici e nelle quali ciascuno di noi si può riconoscere, ben interpretate, realistiche e caratterizzate da un trionfo dei buoni sentimenti che, però, ha il buongusto di tenersi sempre alla larga dal moralismo e dalla melassa.
Una serie in cui emerge un’idea di famiglia, di società, di rapporti umani, di metodi investigativi e persino di tolleranza e di rispetto nei confronti del prossimo lontana anni luce dai cliché in auge in questi tempi barbari, segnati dal razzismo, dalla cattiveria, da un’intolleranza ormai diffusa e da una resa culturale alla bestialità cui pochi, soprattutto in ambito politico, sembrano volersi sottrarre.

Una serie garbata, mai invadente, saggia nella scelta dei personaggi, scevra da eccessi ed esagerazioni d’ogni sorta, con un linguaggio colto e privo di parolacce e volgarità gratuite e in grado di trasmettere un’idea complessiva dello stare insieme radicalmente alternativa a quella attualmente in auge.
Sarebbe, dunque, opportuno che, anziché lasciar cadere l’argomento, liquidandolo come il mero successo di un prodotto televisivo ben confezionato, qualcuno, specie a sinistra o nella sedicente tale, comincissse a interrogarsi sul perché questo stile e questo modello sociale incontrino così tanto i gusti del pubblico, al contrario della violenza, delle esagerazioni e dello scempio che ci vengono ammanniti quotidianamente dal dibattito politico.
E dovrebbero interrogarsi anche i vertici RAI, spesso sollecitati, da più parti, ad accantonare le buone tradizioni dello sceneggiato italiano per mettersi in concorrenza con gli sceneggiati di terz’ordine prodotti in altri paesi, magari più spettacolari sul piano degli effetti speciali ma privi di una trama adeguata, di attori credibili e di un soggetto all’altezza.
Sarebbe bene, insomma, che ci domandassimo tutti se non sia il caso di tornare ad essere minimamente normali, restituendo alla televisione, e in particolare al servizio pubblico, la sua funzione pedagogica, di guida e di elevazione morale e culturale del Paese. Per seguire le logiche distorte del libero mercato, che di libero, a mio giudizio, ha poco o nulla, basta e avanza il privato: a noi lasciateci Don Matteo, la Prof, il Medico in famiglia e tanti altri momenti di buona televisione che forse non esalteranno gli amanti delle sparatorie e dei colpi ad effetto ma che di sicuro confortano quanti, come me, di questo mondo artificiale, fasullo e intrinsecamente brutale ne hanno piene le scatole.

P.S. Auguroni al Venerdì di Repubblica che compie trent’anni: un grande in bocca al lupo per i prossimi trenta!


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