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Oltre il G20, progettare scenari per un futuro più democratico

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[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Sören Altstaedt pubblicato su openDemocracy]

Quando nel 1824 Beethoven compose il suo ‘Inno alla gioia’, non avrebbe mai immaginato che soltanto 200 anni dopo sarebbe stato ascoltato dai “Donald Trump” moderni mentre i cittadini erano in piazza a protestare. In effetti, in occasione del vertice del G20 che ha avuto luogo il 7 e l’8 luglio scorso ad Amburgo, non abbiamo assistito a un grande esempio di fratellanza. E a distanza di tre mesi assistiamo ancora ad accesi dibattiti pubblici sui tremendi atti di violenza consumatisi nei giorni del Summit e alla costante pubblicazione da parte dei social media di nuovi reportage che mostrano la violenza usata dalla polizia nei confronti dei manifestanti.

Oltre a questo, i principali organi di stampa sembrano ancora rifiutare qualsiasi tipo di servizio giornalistico che parli delle possibili proposte politiche alternative, come elaborate e discusse ad esempio nel corso del Vertice Alternativo dello scorso 5-6 luglio ad Amburgo. Il mondo è quindi tornato alle sue quotidiane attività e al consueto interrogativo su “che cosa sia realmente cambiato con le proteste”, che suona sempre più ironico. Ma perché le cose continuano a funzionare così? Come attivisti, forse le nostre proteste non riescono ad affrontare gli aspetti cruciali del potere dei G20?

Colonizzare il nostro futuro

Un tema completamente assente nell’agenda delle proteste e delle manifestazioni contro il Summit fa emergere una forma molto particolare di colonizzazione che ci riguarda tutti. Gli Stati del G20 stanno infatti non soltanto colonizzando il mondo dal punto di vista economico e geopolitico. Stanno anche esercitando una sorta di astuta colonizzazione del nostro futuro. In che modo?

Sin dal vertice del 2011, il G20 aveva introdotto con entusiasmo, nei suoi programmi e nelle sue agende politiche, un certo tipo di valutazioni derivanti dal confronto con il “Think 20“, un think tank che ha il mandato di analizzare i possibili scenari futuri. Si potrebbe anche dirsi “Che problema c’è?“, perché dopotutto le consultazioni scientifiche condotte al fine di elaborare scenari politici sono sempre positive. Sì e no. L’elaborazione di scenari futuri non è una cosa nuova. Già negli anni ’50, durante la Guerra Fredda, era nato come uno strumento di pianificazione militare e successivamente, negli anni ’70 e ’80, si era diffuso maggiormente come una forma di previsione aziendale in campo economico. Tuttavia, dopo la caduta della cortina di ferro e per tutti gli anni a seguire, gli strumenti di previsione strategica furono inseriti in quasi tutti i campi destinati all’elaborazione di politiche e così, ora, tali mezzi vengono presi in considerazione dagli organi di potere nazionale o sovranazionale (USA, UE, NATO, ASEAN, ecc.) nel corso di processi decisionali in merito a quasi ogni tipo di questione.

I due metodi principali di previsione strategica sono il forecasting e il backcasting. Il primo si basa sulla previsione di eventi futuri partendo dalle tendenze attuali, mentre il secondo riguarda la previsione di un futuro desiderato, accompagnata da un orientamento strategico che ci indica il modo per poterlo raggiungere. Queste tecniche si riferiscono quindi alla costruzione di scenari futuri probabili, possibili o preferiti.

Proiezione normativa

Il problema del futuro è che, data la sua natura incerta, non disponiamo di una sufficiente quantità di informazioni al riguardo. L’ampia tradizione di studi organizzativi ci rivela come ogni qualvolta gli attori sociali non dispongano di un quadro informativo che consenta di far fronte a una determinata situazione, possono comunque ricorrere a meccanismi sociali quali relazioni di potere, istituzioni, reti, abitudini e tradizioni. È evidente tuttavia che questi processi sono tutti regolati da norme che contengono al loro interno dei valori sociali impliciti. Di conseguenza, la previsione strategica non riguarda meramente l’analisi e il calcolo di ciò che avverrà, quanto piuttosto la realizzazione di narrazioni sul futuro che sono portatrici inevitabili di quei valori che ritroviamo negli stessi individui che ne fanno uso.

Questo si riflette raramente nella costruzione di scenari futuri. Pertanto tali narrazioni – considerate come obiettive e razionali – hanno un grande potere in quanto consentono agli attori di gestire le incertezze future nel presente e funzionano di conseguenza permettendo all’individuo di raggiungere il futuro desiderato.

Sebbene si possa considerare la costruzione di scenari futuri come qualcosa di immaginario, nel momento in cui li si guarda come un qualcosa di credibile devono fornirci informazioni e giustificare e legittimare le nostre decisioni. Data la loro capacità di favorire lo sviluppo dei processi economici e sociali possiamo vedere come i loro effetti siano fin troppo reali.

I futuri sociali si presentano dunque come un qualcosa di costruito e, in questo processo, gli strumenti di previsione giocano un ruolo importante. Tuttavia, viste le grandi quantità richieste di capitale finanziario, intellettuale e sociale, si può dire che i mezzi a disposizione per la costruzione di scenari siano ripartiti in maniera fortemente disuguale.

Non è più possibile immaginare una governance – che sia locale, nazionale o globale- priva di strumenti di previsione strategica, strumenti che per ora non appaiono per nulla pluralisti e aperti e che in questo preciso momento appartengono solo a determinate élite politiche ed economiche. In occasione del “Think 20“, solo un piccolo gruppo privilegiato della popolazione mondiale (senza alcun mandato democratico) ha elaborato queste narrazioni sul futuro, che sono state poi impiegate nel processo di creazione di una possibile governance globale.

Per un aspetto in particolare gli scenari elaborati dal “Think 20” possono essere visti chiaramente come proiettati verso un futuro utilitaristico. Sono scenari, infatti, che non superano il paradigma della crescita infinita rendendosi strumenti a disposizione dell’1% della popolazione. Questo è ciò che ritroviamo chiaramente anche nella Dichiarazione dei leader del G20 dello scorso luglio. Quest’ultima, infatti, di fronte a una crescita infinita, che è la causa principale del manifestarsi di fenomeni come la disuguaglianza sociale, l’aggressione neo-coloniale e il cambiamento climatico, appare come una semplice farsa. Tuttavia, il G20 attraverso il forecasting prolunga nel futuro il paradigma di crescita infinita, mentre con il backcasting è in grado di trarre conclusioni strategiche per il presente partendo da un futuro desiderato in cui il paradigma di crescita infinita è ancora intatto. È evidente, inoltre, come tale processo sia strettamente legato al fatto che ‘non ci sia alternativa’.

Passi in avanti – dalla costruzione della Storia alla costruzione del futuro

Se la previsione strategica è uno strumento d’élite impiegato per l’esecuzione del potere attraverso il prolungamento dello status quo nel futuro – come è possibile che, in quanto attivisti, non riusciamo ad affrontare questo problema? In fin dei conti, che cosa sono gli attivisti politici se non dei future maker? Il nostro obiettivo è quello di lottare per la costruzione di un futuro più sociale, pacifico ed ecologicamente sostenibile e sappiamo bene che questo non può essere raggiunto all’interno di un quadro di crescita infinita.

Dobbiamo pertanto svelare quale sia il legame tra il potere e il contenuto normativo di questi strumenti di previsione del futuro in modo da poterli distribuire in maniera più equa e rendere questi scenari più pluralisti e aperti a livello sociale. Per il momento, l’avvenire di ogni essere umano viene colonizzato dalle potenti narrazioni sul futuro circa la crescita infinita, narrazioni che ritroviamo anche tra i punti principali nell’agenda politica del G20.

Le uniche narrazioni sul futuro di cui disponiamo ora sono purtroppo le cosiddette ‘visioni utopiche’, le quali a loro volta sono costantemente smentite per il fatto che “non vi sia alcuna alternativa“.

Spesso, queste cosiddette visioni utopiche derivano da una concezione materialistica della Storia, di per sé non del tutto sbagliata. È tuttavia necessario comprendere come le società moderne siano fondamentalmente dirette, e poste in relazione, al futuro. Per tale motivo gli attivisti devono utilizzare questo stesso principio anche nelle loro azioni, spostando la loro attenzione dalla ricostruzione della Storia alla costruzione del futuro, in modo da assumere la capacità di pianificare possibili scenari futuri oltre le élite globali. Abbiamo bisogno di creare una società internazionale progressista che – oltre alle sue tante altre abilità – sia in grado di possedere gli strumenti di previsione strategica che possano produrre importanti e concrete contro-narrazioni a quelle già esistenti sul futuro, argomenti questi che sono stati già diffusi con tanto interesse da parte del G20. Solo così potremo credere ancora che ci sia una speranza.

DiEM25 – democratizzare radicalmente il futuro dell’Europa

Come cittadino europeo, nato e cresciuto ad Amburgo, in Germania, ho riacquistato la speranza prendendo parte a un movimento giovane e molto promettente chiamato ‘Movimento 2025 per la Democrazia in Europa’  abbreviato anche come ‘DiEM25’. Questo movimento è stato lanciato nel febbraio 2016 a seguito dell’esperienza fallimentare delle politiche europee di austerity in Grecia. Infatti, ciò che è risultato chiaro dal Referendum greco del 5 luglio 2015 è stato che a livello europeo non vi sono tracce di democrazia. Il popolo sovrano greco ha dichiarato di voler rifiutare le politiche di austerity da parte dell’UE e tale rifiuto si è ripercosso nel Paese con dure conseguenze in termini di costi umani che durano fino ad oggi.

DiEM25 non accetta di certo questa situazione. Siamo convinti, infatti, che nessun cittadino europeo potrà essere libero fintanto che le idee di altri individui continuano a essere represse. Inoltre, finché torniamo al concetto degli Stati-nazione la crisi europea non potrà essere risolta. E così, guardando al 2025, lottiamo al fine di creare uno Stato sociale europeo radicale e democratico attraverso la realizzazione di una vera Costituzione europea che renda obsoleti tutti gli attuali Trattati. Questa vera democrazia europea sarà dotata di un Parlamento sovrano che rispetterà l’autodeterminazione nazionale e condividerà il potere con i parlamenti, le assemblee regionali e i consigli comunali. Eliminerà anche l’usuale supremazia del potere corporativo prevalente sulla volontà dei cittadini, e conferirà una nuova autorità politica alle leggi che governano il nostro mercato unico e la nostra moneta comune.

Un compito fondamentale del DiEM25 riguarda anche la democratizzazione delle istituzioni europee e dell’economia. Oltre a ciò dobbiamo cercare di rendere democratiche anche le scienze, liberando le nostre università dalla dipendenza dai finanziamenti privati, e consentendo loro di poter impiegare il sapere per il progresso sociale e l’emancipazione – non per gli interessi delle aziende. Tali università sono i luoghi ideali per lo sviluppo di una futurologia critica che possa prendere in considerazione correttamente le proprie tecniche al fine di renderla una scienza sociale utile, nel suo insieme, al bene di tutta la collettività.

Tra gli altri esempi di organizzazioni che si impegnano per la costruzione di un futuro realmente democratico possiamo citare ‘Transitions Movement’, ‘Focal Engineering’ e ‘Fab Labs’. Tutti questi progetti ruotano attorno all’idea di immaginare futuri alternativi e di implementarne le rispettive tecnologie a livello locale. Ci sono approcci comunitari che mostrano come gli strumenti di previsione strategica possano essere messi a disposizione di tutti e diventare così più democratici, pluralisti e aperti. Sono inoltre profondamente legati ai beni comuni poiché re-inglobano i processi tecnici nell’ambito pubblico. A tal proposito, segnaliamo come DiEM25 richieda la fornitura dei principali beni comuni (come l’energia) all’interno del New Deal europeo.

DiEM25 ha presentato il progetto del New Deal europeo proprio il 25 marzo di quest’anno. Si tratta di un piano con l’obiettivo di riformare le attuali politiche economiche europee, che a loro volta stabilizzerebbero la crisi spingendo l’economia verso la creazione di una giustizia sociale e porrebbero le basi per una vera unione politica solidale in Europa.

Sembra utopico, vero? Eppure, il New Deal può essere davvero messo in atto e, in questo modo, tale futuro apparirebbe molto meno utopico rispetto a qualsiasi possibile affermazione come quella secondo cui le attuali politiche di austerity sapranno risolvere la crisi dell’Europa. Stiamo quindi parlando di qualcosa di assolutamente realistico, che presenta degli scenari futuri nei quali è preso in considerazione l’intero insieme dei cittadini europei.

Tutto ciò perché questo progetto è stato creato nell’ottica di un processo democratico decentralizzato e radicale, che coinvolge tutti i nostri 60.000 membri, con l’ulteriore sostegno da parte di esperti di tutto il mondo. A mio avviso, DiEM25 ha tutto il potenziale per poter affrontare la futura colonizzazione delle nostre vite intrapresa dal G20. Pertanto proponiamo, anche, di unire le nostre forze al fine di accrescere la capacità di rendere il nostro futuro davvero democratico. In questi giorni l’orizzonte del cambiamento è contraddistinto da nuvole di tempesta accompagnate, però, da un leggero venticello di speranza. Si tratta di una brezza fresca che soffia nel nostro mondo suggerendo a noi progressisti che, ora o mai, più dovremmo salpare verso le coste del futuro.

Da vociglobali

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