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La Catalogna vista da un basco

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Pranzo domenicale da amici in campagna, dove tutti abbiamo portato qualcosa. Davanti a me c’è un docente basco, da tanti anni in Italia. Mi versa un’ottima zuppa di ceci e castagne, tipica di questi posti nei Monti Cimini. Dopo qualche chiacchiera, gli chiedo della Catalogna, vista da un basco. “E’ una situazione complicata. Passato e presente s’intrecciano. Il centralismo di Madrid ha sempre soffocato le comunità identitarie. Dove si parla persino una lingua diversa. Sai che se parlo basco uno spagnolo non mi capisce?”

Ma è una questione di ideali o di interessi, visto che la Catalogna è una delle regioni più ricche della Spagna? Anche in Italia, le regioni più ricche vogliono la secessione.
“Sì, i soldi sono un argomento importante, perché i catalani danno in tasse molto più di quanto ricevono in servizi. Il grosso va a Madrid e la gente non pensa più che sia distribuito ad altre regioni meno prospere, ma che finisca nella corruzione “.
Si aggiungono alla discussione altri commensali e altre domande.
Ma cosa c’è veramente sotto questa rivolta?
“C’è una diversità culturale enorme tra questa regione – dinamica, progressista, cosmopolita, evoluta – e il resto della Spagna, ancora dominato da una società profondamente agricola, conservatrice e che viene foraggiata e controllata con generosi sussidi.
La Chiesa in Catalogna è neutrale?
“Scherzi? Ci sono parrocchie che espongono la bandiera catalana. Un convento di suore di clausura ha dato la dispensa ad una loro sorella – medico e teologa – per andare tra la gente e sostenere il movimento. Tieni conto che la Chiesa catalana è profondamente conciliare, aperta, e spesso ha dovuto subire la disciplina della curia di Madrid”.
Ma c’è una Costituzione che non prevede separazioni. Perché non si ragiona sull’autonomia, invece che sull’indipendenza?
“Credo, spero che alla fine saranno – tutti – obbligati a sedersi intorno a un tavolo e a parlare di nuove forme di convivenza. Non so se questa energia popolare si potrà incanalare in nuove forme di autonomia, ma Rajoy sbaglierebbe ad usare ancora la forza. Già ora, spesso la polizia locale, nelle manifestazioni, si toglie i caschi e si rifiuta di manganellare i dimostranti con le mani alzate. E la gente applaude.
Ma allora l’Europa – interviene anche il padrone di casa – che fine fa? Non ti sembra un controsenso che questa voglia di secessione in uno stato si manifesti mentre si spinge per una maggiore unione tra gli stati?
“E’ un controsenso solo apparente. In Catalogna sono più europeisti che in molti altri stati. Ma in Europa vogliono andare come nazione, non come regione.”
Doveva piovere, invece c’è l’ultima aria tiepida che muove le chiome degli alberi. Fa bene parlare con calma.

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