Riprendono oggi a Istanbul le udienze del processo Cumhuriyet con le deposizioni dei testimoni dell’accusa contro 18 giornalisti e amministratori dello storico quotidiano turco di opposizione. Al termine della fase dibattimentale, prevista entro fine settimana, i giudici si esprimeranno sulla richiesta di scarcerazione avanzata dagli avvocati della difesa.
La Turchia si è trasformata da tempo nella più grande prigione per giornalisti al mondo. Sono oltre 170 gli operatori dell’informazione finiti in carcere, anche cittadini con nazionalità europea, per lo più con l’accusa di propaganda del terrorismo e affiliazione a Feto, la presunta rete terroristica riconducibile all’imam Fethullah Gülen.
Alcuni sono ancora in attesa di veder formulati i capi di imputazione, altri sono già a giudizio, tra cui appunto editorialisti, redattori e vertici editoriali di Cumhuriyet, storico quotidiano di opposizione, e gran parte della redazione di Zaman, giornale vicino a Gülen, in esilio da anni negli Stati Uniti e considerato l’ideatore del fallito colpo di stato del luglio 2016.
Proprio nei confronti degli imputati di quest’ultimo processo la scorsa settimana è stato confermato il carcere ed è stata avanzata la richiesta di condanna all’ergastolo.
Meno gravi le accuse nei confronti del direttore, dei giornalisti e dell’editore di Cumhuriyet che torneranno oggi davanti ai giudici.
Durante le precedenti udienze avevano preso la parola Murat Sabuncu, successore di Can Dundar alla direzione del quotiamo, anch’egli coinvolto nella stessa inchiesta ma in esilio in Germania, l’amministratore delegato della Fondazione che edita la storica testata turca, Akın Atalay e gli editorialisti e scrittori, Kadri Gürsel, Ahmet Şık e Kemal Aydoğdu.
Tutti loro hanno respinto le imputazioni mosse dalla procura e hanno rivendicato il loro diritto alla libertà di informazione.
La seduta dibattimentale del 14 settembre era stata rinviata per permettere agli avvocati degli imputati di acquisire la documentazione prodotta in aula dal procuratore per ‘provare’ le responsabilità dei loro assistiti.
Ma dalla visione del materiale è emerso che si trattava solo di articoli critici nei confronti del governo, nulla dunque che provasse le accuse di ‘propaganda del terrorismo’.
Eppure, nonostante l’inconsistenza dell’impianto accusatorio, i 18 tra dirigenti e redattori del quotidiano che non si è mai piegato al regime del presidente Recep Tayyip Erdogan rischiano fino a 45 anni di carcere.
Dal dibattimento è emerso con chiarezza che ad essere sotto accusa è la linea editoriale di Cumhuriyet e non i presunti legami con la rete di Gülen.
Uno degli avvocati Hikmet İlkiz non ha esitato ad affermare che “guardando alla Legge, non ci sono articoli di giornali che possano giustificare le accuse mosse agli imputati di questo paradossale processo”.
La tesi della complicità con Feto ha basi molto deboli, come l’utilizzo di una applicazione di messaggistica usata dai golpisti la notte del tentativo di golpe.
Le ‘prove’, secondo la difesa, sono state costruite, o meglio ‘inventate’, dal procuratore che non ha nulla di concreto per sostenere le imputazioni formulate.
Eppure la Corte che deve esprimersi al riguardo non sembra tenerne conto. Anzi.
Quella verso cui ci avviamo entro la fine dell’anno appare una sentenza già scritta.
Per impedire che vada a buon fine l’ennesimo tentativo di ‘bavaglio’ del regime di Erdogan, che sta mostrando tutta la sua avversione nei confronti delle voci libere della Turchia, bisogna vigilare e rilanciare le notizie sul processo Cumhuriyet, e gli altri che verranno, e sostenere gli imputati affinché siano meno soli.
Attraverso questo blog lo faremo illuminando quanto avverrà nell’aula del penitenziario di Silivri.
Fino alla fine.