Superati i quattro mesi e un giorno di carcere, l’ennesima udienza del processo contro il foto-giornalista egiziano Mahmoud Abu Zeid (detto Shakwan) ha prodotto soltanto l’ennesimo rinvio, il ventinovesimo, al 7 ottobre. Dalla prima volta che è comparso di fronte a un giudice, il 14 maggio 2015, il processo viene purtroppo regolarmente aggiornato. Shawkan è ormai entrato nel quinto anno di prigionia e le sue condizioni di salute sono sempre più precarie.
Shawkan è stato arrestato il 14 agosto 2013 mentre si trovava, per conto dell’agenzia fotografica Demotix di Londra, in piazza Rabaa al-Adawiya, al Cairo, a documentare il violentissimo sgombero di un sit-in della Fratellanza musulmana. Fu un massacro con centinaia e centinaia di morti in un solo giorno.
Per aver svolto il suo lavoro, Shawkan rischia una condanna all’ergastolo per questo lungo elenco di pretestuose accuse: “adesione a un’organizzazione criminale”, “omicidio”, “tentato omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”, “ostacolo ai servizi pubblici”, “tentativo di rovesciare il governo attraverso l’uso della forza e della violenza, l’esibizione della forza e la minaccia della violenza”, “resistenza a pubblico ufficiale”, “ostacolo all’applicazione della legge” e “disturbo alla quiete pubblica”.
Il suo “reato” è solo quello di aver fatto il suo lavoro. Si chiama giornalismo.