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Telefonini e Sky, la grande truffa ha fatto 13

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Negli scritti e nei convegni si sprecano le parole, con qualche ridondanza: capitalismo cognitivo, capitalismo digitale. Insomma, la nuova età, dopo il lungo ciclo manifatturiero e fordista. A questo si allude quando ci si riferisce ai gestori della telefonia, oppure alle televisioni satellitari post-generaliste. Quante illusioni, che retorica. La verità ce la racconta con realismo l’episodio –volgare e incredibile- della fatturazione delle bollette telefoniche ogni 28 giorni sia sul mobile sia sul fisso, invece che una volta al mese. Tradotto per i cittadini utenti e consumatori: un aggravio di un 8,3% sul dovuto richiesto in gran silenzio da Tim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb. E ad ottobre seguirà la stessa strada Sky, che almeno ha avvisato in agosto gli abbonati pur senza il battage che accompagna le consuete campagne pubblicitarie. In un suk trasparenza e affidabilità sono decisamente maggiori. Che vergogna, cari signori che insegnate al mondo cos’è il futuro tecnologico e dove sta la  modernità.

La storia è nota e si trascina da diverse settimane, ma se non si blocca rischia di diventare un cattivo precedente anche per le altre utility, dal gas all’elettricità. E’ vero che (diamone atto) l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è mossa, fin dal marzo scorso, con la delibera n.121/17/Cons “Misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’offerta dei servizi di comunicazione elettronica”. Tuttavia, i padroni delle nuvole hanno fatto finta di niente, pur essendo abbondantemente passati i novanti giorni previsti per il ritorno alla cadenza mensile. Salvo i soliti ricorsi alla giustizia amministrativa, oggetto di critica o di desiderio ad ore alterne. L’Agcom, per fortuna, ha annunciato appositi provvedimenti sanzionatori, che speriamo siano forti e imminenti.

Tuttavia, c’è qualcosa che non quadra. La scelta di passare da dodici a tredici bollette annuali è avvenuta contestualmente da parte delle diverse aziende, configurandosi così un classico cartello nella logica del trust. Che fa, dunque, l’Autorità per la concorrenza, cui spetterebbe una funzione di traino? E’ curioso che il governo abbia ipotizzato una segnalazione all’Autorità medesima, quando sarebbe stato corretto il contrario. Come  pure è significativo (e persino bizzarro) che si stia immaginando di infilare nella prossima legge di stabilità una specifica norma sullo scadenzario dei pagamenti. In fondo, le autorità indipendenti furono immaginate nell’ordinamento proprio per evitare un eccessivo ricorso alla legislazione primaria, valorizzando piuttosto atti e regolamenti veloci.

Siamo di fronte, dunque, ad un caso davvero emblematico, che ci illumina sul deficit etico del capitalismo digitale italiano e sull’arretratezza delle culture antitrust. Speriamo che l’incubo si concluda presto e che si ascoltino le associazioni dei consumatori, cui è ben difficile dare torto. C’è materia, infatti, per una class action, per sanare un’ingiustizia che investe milioni di persone. E’ augurabile che non ce ne sia bisogno. Ma, se davanti ad un simile caso di scuola, le autorità competenti non riescono ad avere la meglio, c’è da dubitare che possano svolgere il loro ruolo sui vari fenomeni distorsivi del sistema.

P.S. A fine ottobre scadono i termini per la stesura del testo del contratto di servizio della Rai, cui dovrà apporre –dopo discussione e approfondimenti- il sigillo la commissione parlamentare di vigilanza. Che ne è? Il silenzio è d’oro o non c’è ancora nulla?


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