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Maxiprocesso in Egitto: 51 assolti, 442 condannati

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L’assoluzione del cittadino irlandese Ibrahim Halawa da parte del tribunale interno alla prigione di Wadi al-Natroun, 110 chilometri a nord del Cairo, ha posto fine a un incubo durato oltre quattro anni. Halawa, all’epoca 17enne, era stato arrestato insieme ad altre 330 persone nel corso delle proteste scoppiate il 16 e il 17 agosto 2013 nei pressi della moschea al-Fath, nella capitale egiziana, durante le quali le forze di sicurezza uccisero almeno 97 manifestanti. Durante il processo non è emersa alcuna prova sul coinvolgimento di Halawa in episodi di violenza.

Insieme ad Halawa sono stati assolti altri 51 imputati su un totale di 494 sotto processo, 161 dei quali in contumacia. Gli altri 442 sono stati giudicati colpevoli e condannati a pene da cinque anni all’ergastolo (che per la legge egiziana si tramuta automaticamente in 25 anni di carcere).

Se l’assoluzione di Halawa pone fine a una grave ingiustizia, questa perdura nei confronti di 442 persone che sono state sottoposte a un processo che ha violato i più elementari standard internazionali sull’equità dei giudizi mentre mai nessuno tra i membri delle forze di sicurezza che nell’agosto 2013 fecero uso della forza eccessiva e letale è stato mai portato in giudizio.

Sulla base dell’analisi dei fascicoli e dei colloqui avuti con cinque avvocati difensori, Amnesty International è giunta alla conclusione che il tribunale si è basato unicamente su rapporti scarsamente attendibili delle forze di sicurezza e su indagini dell’Agenzia per la sicurezza nazionale. Durante il processo gli imputati presenti sono stati tenuti dietro una vetrata e impossibilitati ad ascoltare lo svolgimento dell’udienza oltre che a prendervi parte.

Insomma, nelle parole di Amnesty International, si è trattato di un processo farsa dall’inizio alla fine. Che 52 persone ne uscissero innocenti, era persino difficile da immaginare.


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