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No alla nuova legge-bavaglio, sì a una legge contro le liti temerarie

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Non possiamo che protestare e respingere il testo del decreto legislativo sull’uso delle intercettazioni a firma del Ministro Andrea Orlando come appare oggi sulla stampa. Lo respingiamo e per diverse, complesse ragioni che nulla hanno a che fare con la presunta volontà di violare la privacy di chicchessia o di portare a casa facili scoop. Lo respingiamo come giornalisti ma, soprattutto, in quanto cittadine e cittadini che hanno il diritto di essere informati e nel modo più preciso e completo su quanto, in qualsiasi forma e misura, riguardi la vita civile, politica e anche l’esistenza quotidiana di tutti noi.

È fatto divieto di riproduzione integrale nella richiesta (del pubblico ministero, ndr.) delle comunicazioni e conversazioni intercettate, ed è consentito soltanto il richiamo al loro contenuto“: è quanto abbiamo letto oggi su Repubblica e, sempre secondo il quotidiano, lo stesso principio varrebbe per le ordinanze del gip e per quelle del tribunale del riesame. E solo questo richiamo al contenuto delle intercettazioni sarebbe, quindi, quanto l’opinione pubblica (perché di questo si tratta e non dei “cronisti” impiccioni) potrà sapere, con tutta l’approssimazione che quel “richiamo al contenuto” dovrà per forza di cose contenere. Ma è davvero una scelta più corretta e, perfino, più garantista? Non è più corretto anche per i soggetti coinvolti, indagati o meno, che le loro vere parole siano esposte esattamente e non “per riassunto”? Quanto in quel “richiamo” sarà dettato dall’interpretazione del magistrato, di qualsiasi grado sia? Il virgolettato è la prova principe, che non è frutto di nessuna manomissione. Persino Nello Rossi, segretario generale della Cassazione, su questo dichiara “un pericoloso esercizio letterario che rischia o l’enfatizzazione o un’interpretazione riduttiva di conversazioni che sarebbero molto più chiare ed eloquenti se riportate integralmente”, oltre a rilevare il rischio di fraintendimenti tra i riassunti dei diversi magistrati.

Peraltro, qualunque legge che limiti i diritti dell’informazione è destinata a scontrarsi con norme di grado superiore, come quelle ribadite da innumerevoli sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), come dell’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti umani, che ribadisce il “diritti a ricevere informazioni” per tutti i cittadini.

Il testo, secondo le intenzioni del Guardasigilli, dovrà essere approvato entro tre mesi, come prevede la legge di riforma del processo penale, entrata in vigore il 4 agosto: ad essere maliziosi si potrebbe pensare in tempo per evitare che certe informazioni facciano la comparsa in piena campagna elettorale. E questa fretta ha indotto il ministro Orlando a tradire gli impegni presi con il sindacato dei giornalisti: la commissione comune che avrebbe dovuto lavorare a un testo condiviso è stata, almeno nei fatti, cancellata.

Ma non basta: non c’è traccia del testo che avrebbe finalmente introdotto un freno alla pratica-bavaglio delle querele e liti temerarie, in barba allo stesso impegno preso con i vertici Fnsi poco prima della pausa estiva. Un segnale inquietante, venendo peraltro da uno degli esponenti del governo più attenti ai principi sanciti dall’articolo 21 della Costituzione. E ancora una volta in barba alle ripetute condanne comminate all’Italia dalla stessa Cedu per violazione della libertà di stampa proprio sul punto delle querele temerarie. Notiamo, invece, che riguardo ai mezzi ammissibili per ottenere le intercettazioni da parte degli inquirenti, i “trojan horse”, cioè i captatori informatici che consentono di entrare nei cellulari o altri device degli indagati, sono consentiti nelle indagini per mafia e terrorismo ma non per la corruzione: peccato, in molti paesi avanzati la corruzione è considerato un reato grave quale è, da noi evidentemente ancora no.

Possiamo solo constatare che, dopo innumerevoli circolari, delibere, divieti di partecipare a conferenze stampa che le istituzioni dei più diversi gradi e settori hanno promulgato contro il diritto/dovere dei giornalisti di verificare notizie d’interesse pubblico, si vuole ora chiudere il cerchio, lasciando campo libero alle accuse pretestuose e a richieste di risarcimento stellari, e mettendo, sulle intercettazioni, il bavaglio definitivo all’informazione libera che non si accontenta delle veline e dei riassunti di chiunque, per quanto autorevole e attendibile possa essere. Un motivo in più per dure un sonoro no a questo disegno di legge e rilanciare la campagna per fermare le liti temerarie e ogni forma di bavaglio.


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