Non solo “cosa nostra” o i terroristi: erano anche altri i nemici giurati del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Quando quel 3 settembre 1982 Palermo pianse il Prefetto, la moglie (che guidava la macchina A112 sulla quale viaggiavano) e l’agente di scorta, Domenico Russo, sembrava “morire la speranza dei palermitani onesti”.
Il Prefetto Dalla Chiesa, come disse lui stesso, fu mandato “in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì, se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti”. Aveva vinto la battaglia contro il terrorismo interno, i siciliani speravano potesse battere la violenza di “cosa nostra”. Così fu, in fondo, poiché l’omicidio del Generale-Prefetto risvegliò all’improvviso molte coscienze sopite, mai quelle dell’alta borghesia palermitana, però, che stava con la corrente andreottiana.
Per i tre omicidi sono stati condannati all’ergastolo come mandanti tutti i capi di cosa nostra, da Totò Riina a Bernardo Provenzano, fino al “Papa” Michele Greco. Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia all’ergastolo come esecutori, in una sentenza che, senza giri di parole, puntava il dito contro altri (ed alti) poteri.
“Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.
Zone d’ombra ancora lontane dalla totale verità. Verità fondamentale per avere giustizia, come ripete da quel giorno il figlio Nando (leggi intervista sul Corriere). Verità fondamentale per comprendere non solo chi abbia realmente ordinato l’omicidio di Dalla Chiesa, ma anche e soprattutto chi erano quei “colletti bianchi” che da Roma si vollero sbarazzare di una speranza concreta di lotta alla mafia, nello stesso disegno che lega le morti di Falcone e Borsellino.