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Malaparte e Giovannini, Savater e Cercas: Italia e Spagna a confronto

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Se c’è un aspetto che pone la letteratura italiana contemporanea in una condizione di evidente inferiorità rispetto, ad esempio, a quella spagnola è la sua incapacità di fare i conti con la storia. Non che alle nostre latitudini manchino i grandi scrittori, intendiamoci, ma è il sistema letterario nel suo insieme a non avere più il coraggio di farsi, come un tempo, portatore di memoria storica, come se la critica sociale, l’analisi cruda e realistica dei fatti e la composizione di un percorso civile nel quale riconoscersi collettivamente intimorisse gli editori e, ancor più, una parte del nostro panorama intellettuale.
Per dirla in breve, se poniamo a confronto l’epoca che stiamo vivendo con alcune stagioni del passato, ci rendiamo conto che l’universo intellettuale italiano ha oggi smarrito la sua capacità di esercitare il ruolo di coscienza e pensiero critico della Nazione, al netto delle pur significative vittorie di importanti premi letterari andate ad autori come Pennacchi, Nesi Albinati e Balzano.
Ci manca, come detto, la forza morale di mettere a sistema le singole individualità: un male atavico che ci portiamo dietro un po’ in tutti i settori ma che nell’ambito specifico oggetto di quest’articolo si sta trasformando in una vera e propria emergenza.
La Spagna, per dire, tramite autori come il filosofo Savater e lo scrittore Cercas (di cui ricorrono, rispettivamente, i settanta e i cinquantacinque anni, dunque due anniversari da non sottovalutare), sta riuscendo a costruire una memoria storica ampia e dibattuta, all’interno della quale si è recentemente inserito Fernando Aramburu con un romanzo intitolato “Patria” e dedicato alla barbara epopea di sangue dei terroristi baschi dell’ETA.
E così, basta mettere insieme le opere di questi autori per avere un quadro abbastanza completo del difficile Novecento spagnolo: dalla Guerra civile al fallito golpe del generale Tejero, senza dimenticare la mostruosa parentesi franchista (ben descritta da Manuel Vázquez Montalbán nel romanzo “Io, Franco”, edito in Italia da Sellerio) e, per l’appunto, le vicende del secessionismo basco e altri aspetti storici di primaria importanza.
In Italia questo è accaduto per decenni: basti pensare alla figura di Curzio Malaparte (di cui ricorre il sessantesimo anniversario della scomparsa), a Elsa Morante, a Bedeschi, a Moravia, a Calvino o, in ambito teatrale, alla splendida coppia composta da Garinei e Giovannini (scomparso quarant’anni fa a soli sessantun anni, lasciando un vuoto che da allora nessuno è stato ancora in grado di colmare); insomma, ad un insieme di personalità di spicco che, preso nella sua interezza, componeva un quadro narrativo in grado di restituire un’immagine unitaria e plurale della nostra vicenda nazionale.
Oggi questo sistema manca, i singoli talenti vengono considerati uno alla volta, l’analisi complessiva del periodo che stiamo attraversando sembra essere stata bandita e ciò si riverbera in maniera decisiva anche sul contesto politico. Non a caso, l’Italia è l’unico paese europeo in cui possono permettersi di fare il bello e il cattivo tempo compagini che negano l’esistenza stessa della storia, come se il mondo fosse iniziato con la loro minuscola e furbesca avventura e fosse destinato ad esaurirsi con essa.
In quest’amara presa d’atto di una condanna alla solitudine delle competenze e all’esclusione della profondità d’analisi dal confronto pubblico è racchiusa l’essenza del nostro degrado. Un declino morale, prim’ancora che politico o economico, che ci pone in una condizione d’inferiorità al cospetto di altri paesi.
Asseriva, a tal proposito, il “maledetto” anarchico Malaparte: “L’esperienza insegna che la peggior forma di patriottismo è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a null’altro servono se non a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali. (…) Vi sono due modi di amare il proprio Paese: quello di dire apertamente la verità sui mali, le miserie, le vergogne di cui soffriamo, e quello di nascondere la realtà sotto il mantello dell’ipocrisia, negando piaghe, miserie, e vergogne […] Tra i due modi, preferisco il primo”.
Oggi siamo giunti all’indifferenza e le conseguenze, purtroppo, si vedono e si vedranno sempre di più.


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