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A caccia di voti con i sussidi povertà

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Sussidi contro la povertà, caccia ai voti. La legislatura è a fine corsa, manca una manciata di mesi alle elezioni politiche della prossima primavera e i toni da campagna elettorale già si fanno sentire. I problemi più sentiti dall’Italia entrano di prepotenza in un clima di sfida elettorale: tasse, disoccupazione, crescita economica debole, cambio dei parametri per l’euro, immigrazione, riforma elettorale e povertà. Soprattutto la lotta alla povertà è diventato un tema “caldo”, un campo per mietere voti.

Con la crisi economica internazionale e la globalizzazione il problema è diventato grave. Nel 2016, secondo un rapporto dell’Istat (Istituto centrale di statistica), erano 1 milione e 619 mila le famiglie in condizioni di povertà assoluta (6,3% del totale), coinvolgendo 4 milioni e 742 mila persone (7,9%). In condizioni di povertà relativa, invece, erano 2 milioni e 734 mila famiglie (10,6% del totale), toccando 8 milioni e 465 mila individui (14%). Sono colpite soprattutto le famiglie numerose e i giovani.

È stato coniato un nuovo termine, “disagio sociale”, per illustrare la situazione nella quale vive oltre il 10% della popolazione italiana. Ai 3 milioni di disoccupati si sommano più di 5 milioni di cittadini in una situazione lavorativa incerta-difficile (contratti a termine, part-time, accordi atipici, contratti a tempo indeterminato con compensi minimi).

Così è iniziata la gara tra i partiti per dare una risposta al pesante problema e una decisa caccia ai voti. Secondo il governo la via maestra è un lavoro dignitoso per tutti, ma Paolo Gentiloni vuole combattere la povertà anche realizzando una indennità nazionale ed universale. Il presidente del Consiglio ne ha fatto una battaglia importante: «Il reddito di inclusione per due milioni di persone è un impegno per la dignità e la libertà dal bisogno». È soddisfatto anche il segretario del Pd, Matteo Renzi, predecessore di Gentiloni a Palazzo Chigi: «È la prima misura organica della storia repubblicana contro la povertà».

La macchina si è messa in moto. Entro settembre un decreto attuativo del governo renderà operativa la legge delega contro la povertà, approvata a marzo dal Parlamento. Il reddito di inclusione andrebbe da un minimo di 190 a un massimo di 480 euro al mese, riguarderebbe circa 700 mila famiglie, circa 2 milioni di persone. È previsto un costo di quasi 3 miliardi di euro l’anno. I percettori del sussidio, tra l’altro, dovrebbero impegnasi a mandare i figli a scuola, a cercare un lavoro se disoccupati e a frequentare corsi di formazione.

Ma secondo il M5S è poco, troppo poco. Beppe Grillo per primo, da anni, ha proposto il reddito di cittadinanza. Su questa battaglia batte e ribatte: lo scorso maggio ha organizzato la marcia Perugia-Assisi dei cinquestelle. Per il capo dei pentastellati il reddito di cittadinanza è una proposta «per ridare dignità alle persone», il M5S è una forza politica che «sa ascoltare». I gruppi parlamentari dei cinquestelle sono entrati nei particolari del piano in un documento pubblicato sul blog di Grillo: 780 euro al mese per chi è sotto la soglia di povertà, verrebbe revocato l’assegno dopo il rifiuto di tre proposte di lavoro, il costo sarebbe di 14,9 miliardi di euro (ma secondo molti si andrebbe almeno oltre i 20 miliardi).

A giugno anche Silvio Berlusconi è intervenuto sul tema. Il presidente di Forza Italia, uscito vincitore dalle elezioni comunali di un mese fa, ha annunciato: «Risponderemo all’emergenza povertà con il reddito di dignità». Ha dato qualche dettaglio corposo del suo progetto impegnativo: «Dobbiamo introdurre un reddito di dignità» per 15 milioni di persone. Non solo: «Dobbiamo innalzare le pensioni minime a mille euro. E sono credibile quando lo dico perché lo abbiamo già fatto».

In questo caso il costo per le casse dello Stato sarebbe più alto, molto più alto delle altre proposte. Non è per niente semplice la soluzione del problema. La commissione europea già rimprovera all’Italia un deficit e un debito pubblico troppo alti, al di fuori dei parametri per restare dentro l’euro.

È impossibile ridurre le tasse sul lavoro, sulle aziende, sui redditi personali di lavoratori e pensionati e, contemporaneamente, aumentare la spesa pubblica varando un consistente sussidio contro la povertà. La coperta è troppo corta. Occorre decidere cosa e chi privilegiare nella legge di Stabilità del 2018 da definire in autunno. Intanto sul sussidio contro la povertà è scattata la caccia ai voti in vista delle elezioni politiche e così sono partiti allettanti progetti per chi non riesce ad arrivare a fine mese. Poi, ad urne chiuse, si vedrà cosa si potrà realizzare e con quale governo.

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