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Processo Meta, nuove rivelazioni sull’omicidio del giudice Scopelliti

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Il collaboratore di giustizia Nino Fiume parla del ruolo di Cosa nostra dietro l’assassinio del magistrato reggino. Indagini in corso
di Gianluca Ursini
Si è avuta conferma sabato dalla direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria che un nuovo fascicolo è stato aperto per indagare sull’omicidio, nell’agosto 1991, del giudice calabrese Antonino Scopelliti. Il magistrato di Cassazione venne colpito da una pioggia di proiettili mentre andava dalla casa di famiglia a Campo Calabro verso la costa, all’altezza del borgo di Piale, sulla strada per Villa San Giovanni, da un commando di killer delle cosche di Archi. Il magistrato in quei giorni stava studiando il Maxiprocesso alla cupola di Cosa Nostra che era approdato all’ultimo grado di giudizio e veniva sottoposto al vaglio della sua sezione nella Massima Corte.

Secondo quanto riportato nell’aula bunker reggina per il processo “Meta” al gotha della ‘ndrangheta, il pentito Nino Fiume, ex cognato del super boss Peppe De Stefano, ha ribadito in settimana alle domande del pm Giuseppe Lombardo, che a portare a termine l’agguato sarebbero stato un commando di destefaniani, come contropartita per suggellare la pax mafiosa tra i due cartelli De Stefano – Tegano – Libri contro i Condello – Rosmini – Serraino – Imerti, grazie alla intermediazione di Totò Riina e dei corleonesi. L’omicidio sarebbe proprio un favore richiesto dai palermitani per poter intervenire a mediare tra le parti; un assassinio del tutto irrituale per i calabresi, che avevano scelto da sempre, tranne l’episodio del procuratore Caccia a Torino a inizio anni ’80, di non attaccare mai frontalmente esponenti della magistratura.

Ma erano quelli gli anni della strategia stragista, e Totò u Curtu da Corleone, non si faceva remore a chiedere la morte di un giudice di Cassazione. E durante l’interrogatorio di mercoledì si è avuto un episodio che necessita di maggiori spiegazioni, perché sottoposto al fuoco di fila di domande da parte del procuratore Lombardo. Fiume stava letteralmente per pronunciare i nomi dei killer: “A partecipare all’operazione, mi ricordo, furono soprattutto in tre”. Ma a questo punto il collaboratore di giustizia è stato interrotto dal pm: “Fermo, su questo punto non aggiunga altro!”. Segno che sull’omicidio Scopelliti nuove indagini sono in corso e che le rivelazioni di Fiume saranno utili in altre, complesse, indagini. Non si può certo immaginare che Lombardo sia stato reticente, o abbia voluto evitare di impastoiare il procedimento “Meta” che riguarda la filiera di comando della ‘ndrina di Reggio e dei suoi rapporti con i politici subalterni.

Il giudice Lombardo non è uomo che cerchi di evitare i grattacapi, o che abbia titubanze, o che può avere timori di mettere i piedi in un affare che puzza. Il giudice Lombardo, a chi lo abbia conosciuto, appare come un uomo pervaso dalla ricerca della giustizia, non disponibile a compromessi che non si ferma di fronte a nulla. Il fatto che abbia deciso di non fare deporre il pentito con altri particolari sull’agguato ‘ndranghetistico, vuol solo dire che “esistono indagini in corso”, come ha ammesso poi sommessamente alla presidente di corte Silvana Grasso a mezza bocca, nel corso di un colloquio intercettato dai cronisti. D’altronde lo stesso Fiume, sollecitato da uno dei 22 legali di mafiosi che lavorano al processo, il penalista Marcello Manna, ha replicato: “sì, sulla vicenda dell’omicidio del giudice ne ho già parlato diffusamente col procuratore Pignatone (ex capo dell’antimafia reggina, ndr) e col dottore Lombardo”.

Fino ad ora, a confermare che Scopelliti venne ucciso su diretta richiesta di Totò Riina e della catena di comando dei clan siciliani, alla vigila del maxiprocesso in Cassazione contro Cosa Nostra (contro la quale si era già dimostrato particolarmente duro e afflittivo) si erano avute negli anni ’90 le dichiarazioni dei pentiti storici di ‘ndrangheta, Pippo Barreca e Giacomo Ubaldo Lauro, coloro che fino a due anni or sono avevano rivelato segreti delle cosche che erano sulle bocche di tutti, ma che non avevano mai avuto una conferma su carte ufficiali.

Per questo omicidio si erano anche celebrati presso la Corte d’Appello dello Stretto ben due processi; il primo vedeva alla sbarra lo stesso Riina e altri 13 boss della Cupola di Cosa Nostra. Venne emessa in primo grado una sentenza di condanna nel 1996, poi tramutata in assoluzione in appello in capo a 4 anni. Il secondo processo venne intentato contro Binnu Provenzano e altri 9 componenti della cosiddetta Commissione regionale siciliana, tra i quali Pippo Graviano e Nitto Santapaola. Per questo secondo filone di indagini tutti i mafiosi vennero condannati nel 1998, per essere poi assolti due anni dopo per discordanze nelle dichiarazioni dei 17 pentiti di mafia e ‘ndrangheta interpellati, il più pericoloso dei quali come status criminale era Gianni Brusca, il macellaio della strage di Capaci.

Altre indagini in corso sono emerse durante alcune dichiarazioni di Nino Fiume nella udienza di venerdì, quando interrogato sull’uso delle armi, ha spiegato il suo frequente ruolo di armiere della cosca De Stefano; Fiume infatti, il giorno del suo pentimento nel febbraio 1992 si presentò in questura reggina con un borsone carico di mitragliatori affidatagli dalla cosca, come a dimostrare il suo ruolo apicale. Nino Fiume, per 7 anni fidanzato con l’unica sorella della nidiata di Paolino De Stefano, Giorgia, veniva spesso incaricato di nascondere le armi, che poi avrebbe anche scambiato con le cosche alleate di Strongoli, del crotonese, (tra tutti gli Arena di Isola Capo Rizzuto) e con i lametini: “avevamo per esempio un anno due Uzi, due mini mitragliette, che Carmine (primogenito di Paolo De Stefano, ndr) mi disse di custodire con attenzione perché erano già state usate per l’omicidio di un personaggio eccellente a Roma, un politico”.

Anche qui era arrivato lo stop di Lombardo, che si è giustificato con la presidente Silvana Grasso: “Non è mio interesse nascondere nulla, ma anche qui si tratta di questioni delicatissime, sulle quali sono in corso indagini di primo livello”. Dalla Calabria devono quindi venire ancora, delle rivelazioni di quelle che lasciano a bocca aperta.

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