La vicenda dei profughi eritrei che a Roma da due giorni sono assiepati in piazza Indipendenza non ha ancora trovato un suo esito positivo.
Ieri mattina il palazzo di via Curtatone che li ospitava – circa 800 persone, molti nuclei familiari e tanti bambini – è stato parzialmente sgomberato.
Ma, al momento, non sono state ancora individuate altre soluzioni alloggiative. Si ricordi che le persone in questione non sono “clandestini” né irregolari né tanto meno criminali: sono tutte titolari dello status di rifugiato o della protezione internazionale. Di fronte a una simile situazione, che si protrae da moltissimi anni, emerge drammaticamente l’incapacità della giunta comunale di Roma di offrire soluzioni alternative e di proporre un piano abitativo, capace di trovare una sistemazione civile per i profughi e per quelle tante famiglie romane che hanno bisogno di un alloggio. A fine pomeriggio della giornata di ieri, nessun rappresentante del Comune si è presentato in Piazza Indipendenza e le proposte sono giunte solo dal dipartimento politiche sociali. A mediare la situazione – a tratti tesa – sono state le organizzazioni umanitarie, dall’UNHCR ad A buon diritto.
Oggi, per il secondo giorno consecutivo, la polizia è intervenuta per sgomberare il palazzo che, da anni, ospita centinaia di profughi eritrei.
Come era facile prevedere, considerate l’assenza di qualunque proposta alternativa e l’irresponsabile latitanza dell’amministrazione comunale, ne sono derivati feriti e violenze.
Nel corso della mattinata, la tensione è andata crescendo dando luogo a scontri. Tra le persone sgomberate si trovano numerosi anziani, donne, bambini e portatori di handicap, tutti loro titolari dello status di rifugiato o della protezione internazionale.
Di fronte a tutto ciò, la giunta comunale tace e si sottrae a qualunque responsabilità: nessun suo rappresentate è presente mentre tutto ciò accade e, dopo estenuanti trattative con la prefettura, la sola proposta riguarda poche decine di posti. Capisco che Sindaca e membri della giunta siano in tutt’altre faccende affaccendati, presi dal rutilante carosello degli assessorati e dall’esaltazione partitocratica del gioco delle nomine e delle deleghe, ma qualcuno deve pur ricordare che queste centinaia di profughi sono, anche loro, abitanti di Roma. E che quella politica per la casa, promessa dal Comune e di cui non si è vista finora una minima traccia, deve riguardare anche loro.