Si pensava che la Spagna non fosse nel mirino, che a differenza di Francia e Belgio non avesse il problema delle seconde generazioni, che il suo passato coloniale fosse più lontano nel tempo. Invece adesso stiamo scoprendo che la Spagna, in particolare la Catalogna, conosce una forte presenza di fiancheggiatori della jihad, di reclutatori, che la vicinanza col Marocco ne fa un’importante collegamento con l’Europa anche per le reti del terrore. Lo abbiamo scoperta l’undici marzo del 2004 a Madrid e lo stiamo riscoprendo in queste ore, da quando, alle 16,50 di giovedì, un furgone proveniente da Plaça Catalunya è saltato sul grande marciapiede centrale della famosa passeggiata barcellonese delle Ramblas, sceso ad alta velocità verso il mare travolgendo cose e persone per circa seicento metri, fermandosi all’altezza del mosaico di Joan Mirò, vicino alla fermata della metro Liceu, nei pressi dell’omonimo teatro, lasciando in terra 13 vittime mortali e oltre cento feriti.
È un attentato terrorista, che verrà rivendicato da Daesh, il sedicente Stato islamico. Parte il dispositivo di sicurezza denominato Cronos. Scatta l’operazione «Jaula» (gabbia) che chiude le strade di uscita dalla città. Sembra un fatto isolato e finito, tanto che il Commissario capo dei Mossos d’Esquadra, Josep Lluís Trapero, dichiara di non prevedere sia «imminente un altro attentato».
Il meccanismo del terrore è, invece, già in atto da 17 ore, sfuggito di mano agli stessi terroristi. La sua partenza, drammaticamente anticipata e incontrollata, ha scombinato i piani costringendoli ad improvvisare rispetto a un’azione che probabilmente voleva essere ancor più sanguinaria.
L’inizio è alle 23,17 di mercoledì, quando un’esplosione distrugge una villetta a Alcanar, località sita poco oltre l’Ebro, 170 chilometri a sud di Barcellona. Quella che inizialmente pareva una fuga di gas ora sappiamo essere stato un incidente avvenuto durante la costruzione di uno o più ordigni esplosivi. Da lì la situazione è precipitata, i piani sono cambiati e i sopravvissuti hanno probabilmente dovuto improvvisare. Quindi l’azione di Barcellona il giovedì pomeriggio, e poi nella notte, all’una e quindici del venerdì, quella di Cambrils, comune costiero a un centinaio di chilometri da Barcellona: frutto improvvisato di una situazione di emergenza per i terroristi, forse riesumazione di vecchi piani fantasticati. Non sappiamo ancora come e dove si sarebbe tenuto l’attentato – a Barcellona, certamente, forse anche sul litorale – o gli attentati; né come sarebbero stato usati gli ordigni esplosivi. Una vicenda che va avanti da tre giorni e tutt’ora in atto, con un uomo ancora in fuga che non si sa se abbia oltrepassato il confine spagnolo.
La prima domanda è perché la Spagna, perché Barcellona.
La Spagna perché è un paese europeo. Sulla valenza simbolica di Barcellona è stato detto molto, città giovane, accogliente, cosmopolita. È stata colpita la Catalogna, è stata colpita Barcellona, sicuramente è stata colpita la Spagna nel suo interesse economico maggiore in questo momento, il turismo.
Emerge con forza in questa vicenda il Marocco. Nella nazionalità dei terroristi, in alcuni casi doppia con quella spagnola. Il vicino con cui si condivide un confine di due città spagnole in terra d’Africa. Nei buoni rapporti con Mohamed VI, argine anche al radicalismo jihadista e ben visto da Ue e Usa, che hanno per tanto tempo preservato la Spagna dai flussi migratori, grazie al controllo dei confini e delle acque da parte di Rabat, anche se sta crescendo nuovamente la pressione e solo dieci giorni fa in mille hanno sfondato a Melilla.
Il Marocco dei foreign fighters. Si stima che siano almeno 1.500 i marocchini andati a combattere nei diversi scenari e in particolare in Siria, di cui 250 con nazionalità spagnola. Il Marocco, altra faccia della medaglia di un confine altrimenti solido con le enclave di Ceuta e Melilla, lascito del secolo scorso, di cui sociologi e esperti segnalano da tempo i fenomeni di radicalizzazione tra le giovani generazioni, in un territorio in forte crisi economica, malgrado gli aiuti di Madrid.
La Spagna era nel mirino?
Giornalisti in buoni rapporti col ministero degli Interni confermano i segnali dagli Usa col riferimento alla Catalogna, ma non abbiamo voci ufficiali. Abbiamo fonti che fanno riferimento alla propaganda del Daesh che hanno citato Al-Andalus, come la parte della penisola iberica veniva chiamata quando era possedimento moresco. Vedremo più avanti. Segnali simili vengono spesso da Daesh, si moltiplicano gli obiettivi, si confondono le acque, si buttano le reti per pescare a strascico a posteriori rivendicazioni di possibili lupi solitari.
Certo è che altre fonti ci dicono che l’attività di sicurezza è stata molto intensa. Ci son state perquisizioni, espulsioni, arresti – proprio a Barcellona, due settimane fa, perquisizione notturne e fermi. Un’intensa attività di interdizione dispiegata negli ultimi sei mesi. Fino alle voci che dicono che addirittura siano state sventate azioni terroristiche.
La sicurezza e le indagini
Qualche polemica è stata fatta in merito al coordinamento tra le forze di polizia. I Mossos de Esquadra, la polizia autonomica, hanno piena potestà sul territorio catalano. Policía Nacional e Mossos sono autonomi, i secondi hanno alcune competenze esclusive sul territorio catalano, ma lavorano in coordinamento su temi di sicurezza nazionale. In passato non sono mancati episodi di sovrapposizioni o intralcio ma certamente i nuovi criteri di sicurezza antiterrorismo hanno imposto maggiore attenzione e coordinazione. Pare che la Policía sia stata avvisata in ritardo dei sospetti sull’origine dell’esplosione di Alcanar; e che non sia stato ascoltato da parte delle autorità della Generalitat catalana il consiglio di mettere dei dissuasori proprio sulle Ramblas. Polemiche inevitabili, che per ora il fair play dei protagonisti politici sembra mantenere in secondo piano. Le indagini ci diranno se veramente c’è di mezzo un Imam che è stato allontanato, per quale motivo, se le autorità siano state avvertite e, nel caso, come abbiano gestito l’informazione. O se, come nelle ultime ore strilla la stampa spagnola, sia addirittura il nuovo imam a essere indagato per la radicalizzazione del giovane gruppo di amici e parenti di origine marocchina.
Quello che certamente possiamo dire è che l’attenzione sulla Spagna era alta, la sicurezza dispiegata nel quarto grado di allerta, quello precedente al dispiegamento dell’esercito nelle strade, che è stato confermato oggi dal Consiglio dei ministri, e l’attività di interdizione è stata molto intensa negli ultimi mesi. Nelle ultime ore, registriamo la discrepanza tra il ministero dell’Interno di Madrid e il Govern della Generalitat, coi primi che dichiarano la rete jihadista disarticolata e i secondi che considerano la vicenda aperta fino alla localizzazione dell’ultimo membro.
In parte, proprio sapere delle reti di attività jihadiste può aver predisposto a ritenere improbabile un attentato, controproducente per quelle stesse reti. Quanto accaduto smentirebbe il ragionamento, oppure potrebbe spiegarsi con le caratteristiche della anomala cellula che le indagini stanno descrivendo. E solo le indagini potranno far luce su eventuali legami coi centri decisionali del Daesh, o con altre cellule in Europa, si parla anche di un quarantenne con un’auto con targa francese nella quale stazionava per lunghissime telefonate, che sarebbe entrato nella vita dei giovani con assiduità negli ultimi tempi. O, viceversa, ipotizzare la totale autonomia di elaborazione e decisione della cellula, e un’avventatezza che non ha tenuto conto dei contesti tattici.
Né foreign fighters né lupi solitari. Una «cellula giovanile spontaneista»?
La radicalizzazione. Quali acque arrivino a ingrossare fiume della radicalizzazione, disagio adolescenziale, esclusione sociale, bisogno identitario, sentito non da chi arriva ora ma da chi è nato qui con genitori venuti da fuori, è oggetto di confronto di idee tra chi si occupa di queste vicende. Gli esperti si confrontano da tempo su questo tema, ci dicono che il carcere e Internet sono protagonisti dell’80 per cento dei fenomeni di radicalizzazione in Europa.
In questo caso a colpire è subito la giovane età, dai 17 ai 22 anni. Tutti amici o parenti tra loro. In grado di immaginare e mettersi a organizzare davvero un crimine gratuito, complicato e orrendo. Una strage che probabilmente non doveva essere così. Che voleva colpire ancora più duro in una pratica di odio forse ingenua, certamente feroce e inumana. O, come rilancia El Confidencial in queste ore, in modo ancora più eclatante e immaginifico, colpendo la Sagrada Familia.
Non un lupo solitario ma un gruppo, non una vera e propria cellula, nessun foreign fighter, legami diretti con Daesh tutti da scoprire. Certo è che questa cellula anomala di giovani diventerà un caso di scuola di cosa sia la radicalizzazione e di come il suo contrasto rappresenti, già oggi, un fronte fondamentale di quel conflitto in atto nel mondo islamico, perlomeno negli scenari relativi alle ripercussioni negli scenari europei. A Barcellona, per esempio.