“Stiamo vivendo un paradosso: chi salva viene accusato di favoreggiamento e di complicità con i trafficanti e chi omette il soccorso resta impunito. È un mondo alla rovescia.” Il tono di voce di padre Mussie è sempre molto pacato. Parole misurate anche per parlare di una indagine che lo vede sotto inchiesta come complice dei trafficanti di uomini. “Mi aspettavo che i magistrati prima o poi avrebbero voluto ascoltarmi. Non mi aspettavo che volessero sentirmi come indagato.”
Mentre si scopre sotto accusa, il pensiero di Mussie Zerai al 3 ottobre 2013, al naufragio di Lampedusa quando quel barcone si rovesciava e si portava sul fondo del mare 368 uomini, donne e bambini. Una strage che poteva essere evitata se le due barche di cui raccontano i superstiti, arrivate subito prima del naufragio, avessero dato l’allarme. C’è una indagine ancora aperta, ma mentre aspettiamo i risultati altre indagini mettono sotto accusa persone che hanno dedicato la vita ad aiutare i naufraghi. Come padre Mussie.
“Ero appena rientrato da un viaggio in Etiopia e mi è arrivata la notifica dalla questura di Trapani. L’avviso di garanzia dice che sono sotto inchiesta da novembre 2016. Che vuoi che ti dica, affronteremo anche questa” dice sorridendo.
Mussie Zerai è un prete cattolico, Scalabriniano ci tiene a mettere in evidenza, l’ordine che ha fatto proprio l’invito evangelico “Ero straniero e mi avete accolto”. Viene dall’Eritrea padre Mussie ed è un riferimento per tutti i rifugiati che scappano dalla dittatura sanguinaria di Isaias Afewerki e cercano protezione in Europa. Il suo numero si è diffuso tra quei ragazzini in fuga e le chiamate arrivano da una decina di anni. Lui fa sempre la stessa cosa: chiama la guardia costiera e segnala le coordinate della barca. Da quando le Ong sono in mare, avverte anche loro.
“Di una chat segreta delle ong, ammesso che esista io non ho mai saputo nulla. Il solo modo che ho avuto per anni per segnalare gli sos che ricevo dal mediterraneo è via telefono alla guardia costiera italiana. Poi nel 2011 mi hanno chiesto di inviare una mail con le coordinate e ho sempre messo in copia Unhcr. Dal 2014, da quando ci sono le Ong, metto in copia alcune di loro: Moas, Msf, Watch the Med e Sea Watch, tutto qua. Le chiamate arrivano sempre ora meno, ma le ultime anche in questi giorni mentre ero in Africa per un viaggio in Etiopia. Mi ha chiamato il fratello di un ragazzo imbarcato su un barcone in difficoltà ed io ho girato la segnalazione a Watch the Med.”
Padre Mussie conosce l’insulto e la minaccia da tempo. Il regime eritreo, condannato dalle Nazioni Unite per crimini contro l’umanità, lo accusa da tempo di favorire l’immigrazione clandestina. Le accuse del regime di Isaias Akewerky sono sostenute dalla destra e dai fascisti italiani. E adesso hanno ripreso vigore.
“E da quando è arrivato questo avviso di garanzia si è messa in moto la macchina del fango, un vero e proprio sciacallaggio. Hanno scritto ad esempio che il Vaticano mi ha mandato via da Roma, ma non è vero. Mi hanno proposto di occuparmi della comunità eritrea in Svizzera e io ho accettato. Ormai sono in Svizzera da tanti anni, che c’entra con i soccorsi nel Mediterraneo?
Quello a cui stiano assistendo è una criminalizzazione della solidarietà mentre non vengono perseguiti quelli che sono accusati di omissione di soccorso. Aspettiamo da quattro anni sulla tragedia del 3 ottobre 2013, delle due imbarcazioni di cui hanno parlato i superstiti non sappiamo ancora nulla. E anche del caso del 2011, quel gommone con 72 persone di cui 63 morti di stenti individuati da due elicotteri che gli hanno dato dell’acqua e poi li hanno abbandonati non sappiamo nulla. Sono rimasti per 15 giorni alla deriva e sono morti di fame e di sete. Ma fino ad ora nessuno è stato chiamato a rispondere di omissione di soccorso. È un paradosso quello che stiamo vivendo: chi salva viene accusato di favoreggiamento e di complicità con i trafficanti e chi omette il soccorso resta impunito.”