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Sicilia. Come si uscirà dallo stallo in cui si trova la regione?

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La conclusione della sessione parlamentare estiva dell’Assemblea Regionale Siciliana sostanzialmente, anche se non formalmente, coincide con la fine della legislatura. Si voterà, infatti, in autunno per un’Assemblea di settanta deputati e non più di novanta. A quegli osservatori che ancora seguono le vicende politiche siciliane, sempre più lontane dagli interessi reali dei cittadini, la seduta è sembrata più un rantolo di moribondo che uno scatto di vitalità. Dopo mesi di inattività legislativa, di sedute non valide per mancanza di numero legale, il ritorno in aula in massa dei parlamentari  è stato motivato, come documentato dal Presidente dell’Ars, che ha cercato di resistervi, più da un mare di proposte personali e particolaristiche da inserire nel collegato che dal desiderio di votare i documenti contabili della Regione giunti alla scadenza pena lo scioglimento anticipato dell’Ars. In questo clima non sono state votate norme utili alla Sicilia come quella della confluenza del Consorzio autostradale siciliano nell’Anas, mentre è stata bocciata con voto segreto una delle poche riforme istituzionali quello dello scioglimento delle provincie ripristinandone l’elezione diretta dei presidenti, dei consiglieri, sia delle Provincie che delle Aree metropolitane con relative indennità e privilegi votati anche dai campioni dell’antispreco  dei cinque stelle.

A questo punto alla vigilia del voto autunnale si rende necessario qualche riflessione di carattere generale.

La sedicesima legislatura regionale iniziata nel 2012 ha ereditato il clima di declino ormai storico della Regione e della  sua Autonomia speciale, accentuato negli ultimi decenni dalla dissoluzione dei partiti di massa protagonisti della Resistenza e autori della Costituzione della Repubblica e dello Statuto speciale della Sicilia. Questa lunga fase di costruzione della democrazia parlamentare della Repubblica e della Regione ha coinciso con il processo di crescita economica e sociale del paese al quale con lentezza e ritardi si è agganciata la Sicilia, fruendo dei suoi poteri speciali non per un autonomo processo di crescita e sviluppo, ma per mungere dallo Stato assistenzialismo riparazionista, conveniente sul piano elettorale alle classi dominanti sia nazionali che regionali.

Negli ultimi decenni, finiti i tempi delle vacche grasse della spesa pubblica, entrato in crisi il modello di sviluppo capitalistico e fallito quello socialista che avevano segnato la ricostruzione nel dopoguerra, indebitato il Paese anche per le prossime generazioni, sono emerse, con chiarezza, l’insufficienza e la miopia culturale e politica di un’intera classe dirigente siciliana (di destra, di centro, di sinistra) che ha generato la sua attuale “crisi d’autorità”e la sfiducia popolare verso l’Autonomia.

Bisogna ricordare sempre che alle elezioni regionali del 2012 andarono a votare poco più del quaranta per cento degli aventi diritto, che il Presidente Crocetta, autoimpostosi come candidato di un centrosinistra confuso, debole e diviso, è risultato eletto col trenta per cento dei voti cioè col dodici per cento degli elettori.

Quindi nessun stupore, ma solo forte preoccupazione per la conclusione  della sedicesima legislatura e del suo 58esimo governo, il quale, in questa triste confusione, non riesce a valorizzare quel poco di buono e utile che è riuscito a fare, a cominciare dal riordino dei conti della Regione, ereditata sull’orlo del default. Della legislatura rimangono più vividi gli slogan, il repentino e ripetuto cambio di assessori, le velleità riformatrici prima con assessori tecnici, poi quelli politici del Governo e la vacuità delle opposizioni in attesa di cogliere i frutti del fallimento della maggioranza non coesa e con scarsa progettualità strategica.

Infatti, né il Governo né l’Ars hanno saputo incidere sulle scelte strategiche europee e nazionali che hanno avuto ricadute sulla Sicilia.  Sia la spesa comunitaria con i fondi strutturali, con i Piani di sviluppo rurale o i Patti nazionali col Sud finora non hanno inciso sulla lentezza  e il ritardo della Sicilia, hanno indebolito il tessuto produttivo, industriale e agroalimentare, espulse migliaia di imprese piccole e medie, scomparsi i poli di sviluppo industriale, scarsi investimenti nella ricerca, innovazione e formazione.

La Sicilia in compenso ha mantenuto e accresciuto i suoi primati negativi: infatti, ha i più alti tassi, rispetto alla media nazionale, di disoccupazione, di disuguaglianza, di corruzione, di criminalità economica mafiosa, di laureati migranti in altri paesi, di neet (giovani senza speranza e volontà di reagire) e infine di povertà assoluta e relativa. A tal proposito è significativo come l’Ars e il Governo abbiano ignorato l’unico disegno di legge d’iniziativa  popolare della legislatura contro la povertà nonostante le sollecitazioni del vasto comitato promotore. Sarebbe potuto diventare un segno di un nuovo corso politico, di attenzione verso il grande disagio sociale. Ma la risposta dei parlamentari è stata unanime: da sinistra a destra passando dai cinque stelle.

Come si uscirà da questo stallo, che temo sarà lungo, considerata la confusione e la vana ricerca del mago merlino di turno che attraversa i vari schieramenti per la corsa elettorale?

Purtroppo non si vedono attualmente segni di riscossa morale, politica, programmatica, di lettura della crisi sociale, economica, istituzionale, di nascita di una nuova classe dirigente che non rimpiazzi semplicemente quella esistente, ma la rigeneri dal basso. Ma nonostante tutto, sarà possibile invertire il corso della “Politica” attingendo alle vaste risorse intellettuali, politiche, sociali che esistono nella società siciliana e nazionale e che ritengono la “politica” un servizio per il bene comune e non uno strumento di appropriazione indebita di potere e di privilegi.

Quanti amministratori comunali, quanti intellettuali, professionisti, docenti, imprenditori, sindacalisti, personalità laiche e religiose impegnate nel volontariato sociale non speculativo, se riuscissero a fare rete, se trovassero catalizzatori disinteressati alle carriere personali, potrebbero diventare quella massa vulcanica capace di plasmare in modo nuovo la “politica”!

È questa la scommessa da fare per non essere sopraffatti dallo sconforto e dalla rinuncia pessimistica che continuerebbe a favorire soltanto quella classe dirigente che ha già fallito.


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