Ottant’anni di vita e cinquanta dal grandioso film che lo fece salire alla ribalta mondiale: Dustin Hoffman, celebre interprete de “Il laureato”, costituisce senza dubbio l’America migliore. Incarna, infatti, l’esatto opposto della rozzezza trumpiana, priva di dignità e di prospettive, intenta unicamente a fare soldi e incurante del benessere della comunità; all’opposto, siamo al cospetto di un attore da sempre impegnato, straordinariamente colto e, al pari del collega Robert Redford, con cui condivise il ruolo di protagonista in “Tutti gli uomini del presidente” di Alan Pakula, coscienza critica di una Nazione in declino.
Hoffman, con il suo cinema narrativo, la sua arte profonda, la sua conoscenza del mondo e la sua raffinatezza, è quel genere di attore che non stanca mai, che sopravvive alle mode, ai cliché, ai luoghi comuni, alle copertine patinate e anche, cosa assai rara, al trascorrere del tempo, rinnovandosi senza snaturarsi e, soprattutto, senza pretendere di rimanere eternamente giovane.
L’accettazione del passare degli anni, del decadimento fisico e della necessità di convertirsi a ruoli maturi, benché abbia sempre rappresentato il prototipo dell’attore impegnato e di grande respiro sociale e civile, l’hanno reso un personaggio stimato al di là del grande schermo, esempio di un saggio modo di vivere e di intendere la vita, di recitare e di intendere l’arte.
Basti pensare, ad esempio, alla poesia che seppe incarnare nei panni di “Rain Man – L’uomo della pioggia”, in uno struggente affresco dei sentimenti, delle difficoltà, degli equilibri fragili e instabili con cui dobbiamo fare i conti e degli ostacoli con cui siamo chiamati a confrontarci nel nostro faticoso incedere quotidiano.
Basti pensare al suo essere un attore, e diremmo anche un uomo, poliedrico e ricco d’interessi, in grado di spaziare su più fronti, di far vivere i soggetti più disparati e di conferire un’anima non solo al controverso mondo del cinema ma anche ad una società americana sempre più attraversata da contraddizioni e momenti di autentica barbarie.
Rendere omaggio ad Hoffman, nella stagione del machismo elevato a virtù, è dunque anche un doveroso atto di ribellione, con l’auspicio che quel minimo di umanità che ancora faticosamente resiste non vada perduto per sempre.
Ottant’anni, una celebrità planetaria e l’umiltà di mettersi sempre in gioco, neanche fosse un esordiente: queste caratteristiche fanno di lui un esempio e del suo modo di calarsi in ogni singola parte un qualcosa di unico.
Perché Hoffman non recita: lui diventa letteralmente ciascuno dei suoi personaggi, così che le sue molteplici sfaccettature trovano uno sfogo, un senso, un orizzonte più ampio e la possibilità di confrontarsi e, talvolta, finanche di scontrarsi.
Buon compleanno ad un caleidoscopio di sogni e di idee, di speranze e di intuizioni: ora più che mai, l’America e il mondo hanno bisogno di figure così.