Di Bruno Canfora ricorderemo certamente il talento, certamente la notorietà, specie negli anni Sessanta dei grandi varietà e del buongusto coniugato col divertimento e con la crescita culturale del Paese, tipico della RAI bernabeiana; tuttavia, ricorderemo anche, se non soprattutto, la sua profonda umanità.
Perché l’artista, il direttore d’orchestra che ci ha lasciato oggi all’età di novantadue anni era, innanzitutto, un galantuomo d’altri tempi, capace di comporre musica popolare e, al tempo stesso, di arricchire il panorama della canzone italiana con brani destinati a segnare un’epoca e a rimanere per sempre nell’immaginario collettivo. Inoltre, era il simbolo di una televisione che non amava gli eccessi, la cattiveria, la volgarità e i rodomonti che oggi la fanno da padroni e prediligeva, al contrario, il sorriso mite e bonario di personalità come la sua: mai sopra le righe, mai banale e mai bisognosa di ricorrere alla trivialità o a velate forme di machismo per far emergere la propria bravura.
Erano altri tempi, certo: era la stagione più felice del dopoguerra, quando dilagavano la speranza e la voglia di vivere e i giovani si affacciavano alla ribalta da protagonisti, con Mina e la Pavone ad incarnare le icone di una generazione che usciva dall’orrore della guerra e si lanciava spensierata verso nuovi orizzonti.
Erano gli anni Sessanta, con il loro carico di spensieratezza e di semplicità, con il loro sereno scorrere, con le loro avventure e la loro dirompente voglia di guardare avanti.
Erano gli anni della bella politica e del primo centrosinistra, della cultura e del benessere; anni in cui si riuscivano a perdonare anche i nostri innumerevoli difetti, la nostra democrazia bloccata e la nostra televisione monopolizzata dalla DC, senza particolari concessioni alle altre forze politiche.
Non era un’Italia tutta rose e fiori, e meno che mai lo era il mondo; diciamo, però, che il nostro era un Paese in cui non ci si vergognava di essere persone perbene, rispettose nei confronti del prossimo e animate da buoni sentimenti che oggi verrebbero, colpevolmente, classificati come ingenuità.
Bruno Canfora, grazie al suo eclettismo, è stato uno dei cantori principali di quell’Italia che il sabato sera si ritrovava davanti al piccolo schermo e il resto della settimana svolgeva il proprio dovere secondo ritmi giusti e umanamente sostenibili.
Le sue canzoni, compreso il memorabile “Da-da-um-pa” portato al successo dalle gemelle Kessler, autentico spartiacque del costume italiano nonché preludio dell’emancipazione femminile, costituiscono tuttora, come detto, uno degli aspetti imprescindibili per comprendere quel periodo e le sue caratteristiche.
Gli giunga lassù la nostra gratitudine, velata da un pizzico di nostalgia e di rimpianto.