L’obbligo di imbarco di polizia giudiziaria armata a bordo delle navi delle Ong è irragionevole e rischioso. Se il problema è la vigilanza sul posto dell’applicazione delle nuove procedure stabilite, bastavano semplici pubblici funzionari civili. Invece, con la presenza di agenti armati il rischio di incidenti mortali sale notevolmente e non è giustificato dalla pericolosità dei naufraghi, persone inermi e debilitate da lunghe privazioni. Lo scontro a fuoco potrebbe avvenire con i trafficanti, ma anche qui c’è il rischio di ingaggio accidentale, come successe ai due fucilieri a bordo di un nostro mercantile, che scambiarono dei pescatori per pirati e li uccisero.
Cosa accadrebbe se un nostro poliziotto uccidesse per sbaglio un cittadino libico, proprio ora che difficili negoziati sono in corso? E che sono in salita per il nostro passato di violenze coloniali ancora vivo? Immediatamente l’incendio dell’odio divamperebbe, avvantaggiando le fazioni più estremiste.
Se hai le armi, prima o poi le usi. E molte Ong non vogliono correre questo rischio. Anche perché quelle più grandi – come Mediici Senza Frontiere – operano in tutti gli scenari di guerra e hanno fatto del divieto di ingresso alle armi, la prima regola dei loro ospedali. Un vero e proprio tabù per tutelare la sacralità del soccorso medico, che crollerebbe se MSF fosse coinvolta in uccisioni sulle sue navi.
Che il soccorso in mare vada regolato non c’è dubbio. Me evitiamo di complicare il lavoro delle Ong con prescrizioni burocratiche e rischiose. Davanti alle quali, la mancata firma del Nuovo Codice di Comportamento dei salvataggi ha la dignità dell’obiezione di coscienza
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