Il 29 luglio 2013 Paolo Dall’Oglio, sacerdote gesuita e missionario, veniva rapito in Siria. Abuna Paolo: così lo chiamano affettuosamente i siriani. Una figura capace di percorrere più strade contemporaneamente: il dialogo con l’Islam, il rispetto per i diritti umani, l’impegno per la corretta informazione non a senso unico. “Liberate padre Dall’Oglio e i vescovi rapiti in Siria e tutte le altre persone che nelle zone di conflitto sono state sequestrate… a questi nostri fratelli venga presto restituita la libertà”, sono le parole di Papa Francesco. Sono anche le speranze dei familiari, dei suoi amici, di quanti hanno a cuore l’uomo, la sua libertà e la pace.
Ho ricordato loro di quando ci siamo incontrarti l’ultima volta nella mia città natale, Scala, il paese più antico della Costiera Amalfitana, per celebrare il dialogo possibile fra mondi diversi: fu una delle sue ultime comparse in tv. Era il settembre 2012. Quelle sue parole risuonano ancora oggi: “Lo senti il rumore dei profughi?”. “Sai qual è il prodotto della guerra? È un uomo disperato che soffre per aver perso quel poco che aveva”.
Padre Dall’Oglio è stato un uomo che ha dialogato con Dio e cercava di dialogare con l’uomo. Per dirlo con le parole di padre Federico Lombardi: “La sua testimonianza è di una attualità permanente per quanto riguarda tutta la dimensione del dialogo tra Cristianesimo e Islam”. Cocenti le sue parole: “Una Siria per i siriani. Nell’est del Mediterraneo, per tutto il mediterraneo, per la pace in Medio Oriente. Questo è quello che noi vogliamo”. Oggi sono quattro anni di silenzio che si colorano o di morte, o di vita. Noi continuiamo a sperare.