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Codice di condotta ong. Ecco tutte le richieste di Msf a Minniti

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L’ong rende noti i suoi emendamenti prima della riunione che si terrà oggi al Viminale. Tra punti su cui si chiedono garanzie: la presenza della polizia a bordo, i trasbordi tra navi e l’attestato di idoneità. “Siamo operatori umanitari non ufficiali di polizia”

ROMA – Chiarire che la presenza della polizia giudiziaria sulle navi delle Ong non sarà permanente; menzionare esplicitamente che i funzionari di polizia giudiziaria non saranno armati; avere la garanzia che quanto previsto del codice non avrà un peso sproporzionato sulle operazioni e non ridurrà la capacità di soccorso in mare. Sono queste soltanto alcune delle richieste che Medici senza frontiere porterà oggi all’incontro tra il Viminale e le ong, in cui verranno esplicitati tutti gli emendamenti delle organizzazioni al codice di condotta per il soccorso in mare messo a punto dall’Italia.

Nel documento reso noto questa mattina, Msf esprime preoccupazioni specifiche su diversi punti, tra cui “alcuni passaggi ambigui o poco chiari nella bozza del Codice, e preoccupazioni generali su possibili incompatibilità con i principi umanitari”dell’organizzazione. “Abbiamo sottoposto al Ministro dell’Interno queste preoccupazioni insieme ad alcuni emendamenti sui punti fondamentali, con particolare riguardo per le misure della bozza di Codice che ostacolerebbero o ridurrebbero le attività di soccorso in mare -spiegano – i membri dello staff di Msf sono operatori umanitari, non ufficiali di polizia, e per motivi di indipendenza faranno ciò che è strettamente richiesto dalla legge ma non di più, in modo da proteggere la nostra indipendenza e neutralità”. inoltre l’ong si dice preoccupata “ per le conseguenze umanitarie di questo Codice sulle persone bloccate in Libia. Se le persone vengono intercettate in mare e riportate in Libia – spiega Msf -, saranno portate in centri di detenzione dove, come le nostre équipe che lavorano in quei centri testimoniano ogni giorno, sono a rischio permanente di essere detenute in modo arbitrario e indefinito, trattenute in condizioni disumante e/o sottoposte a estorsioni o torture, comprese violenze sessuali”.

Nel dettaglio, per quanto riguarda l’attestato di idoneità tecnica (relativa alla nave, al suo equipaggiamento e all’addestramento dell’equipaggio) per le attività di soccorso previsto dal punto 4 del codice Msf parla di “clausola non abbastanza chiara sugli standard che verranno applicati per le attività di soccorso. Per questo chiediamo garanzie che le richieste del codice non avranno un peso sproporzionato sulle nostre operazioni di soccorso e non porteranno a una riduzione della capacità di soccorso in mare”. L’ong contesta anche il punto successivo, l’impegno cioè per le navi, quando effettuano un soccorso al di fuori di una Srr (regione di responsabilità per la ricerca e soccorso) ufficialmente istituita, di informare immediatamente non solo il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo più vicino (Mrcc) ma anche le autorità competenti dello stato bandiera. Su questo punto Msf “cerca esplicite garanzie nel Codice che l’impegno di notificare il soccorso a diversi interlocutori non ostacoli il processo decisionale e che la priorità venga sempre data al soccorso, come prescritto dal diritto marittimo. Vorremmo ricevere garanzie che questo impegno non comporterà situazioni accadute in passato, quando alcune chiamate di soccorso non hanno ricevuto risposta o nessuno se ne è assunto la responsabilità, causando la morte delle persone che avevano chiesto soccorso. Sappiamo che alcuni stati e alcuni Mrcc non rispondono velocemente quanto l’Mrcc italiano, e il tempo è essenziale per salvare vite.

L’altro punto contestato è quello che prevede che le ONG non debbano “effettuare trasbordi delle persone soccorse su un’altra nave, eccetto in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedono un’assistenza immediata”. Dal 2016, spiega Msf, “abbiamo visto i barconi di migranti partire a ondate, e in diversi casi fino a 20 barconi per volta si sono trovati in urgente bisogno di soccorso. La capacità delle navi di soccorso più piccole di stabilizzare questi barconi in attesa che le navi più grandi imbarcassero le persone è stata cruciale per salvare vite in mare. Trasferimenti tra navi sono stati richiesti di frequente dall’MRCC di Roma, da quando abbiamo iniziato le nostre operazioni in mare nel 2015, e hanno permesso di effettuare soccorsi secondo le migliori pratiche, lasciando le navi più piccole disponibili  per altri soccorsi mentre le grandi tornavano in Italia – aggiungono -. Un inefficiente sistema di andata e ritorno di tutte le navi di soccorso verso i luoghi di sbarco avrà come conseguenza una minore presenza di quelle navi nella zona di ricerca e soccorso. Questo impegno contraddice anche le pratiche generali della ricerca e soccorso. Le navi impegnate in operazioni di soccorso devono terminare questa attività il più presto possibile, anche attraverso i trasferimenti ad altre navi se necessario, come raccomandato nelle Linee guida per il Trattamento delle persone soccorse in mare”.

Infine, il punto più contestato, l’impegno per le ong di “ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, funzionari di polizia giudiziaria”. Msf chiede di includere alcune garanzie relative a questo impegno. “Coinvolgere le nostre équipe in attività di polizia o investigative, che esulano dallo scopo delle nostre competenze medico-umanitarie, va oltre quanto è richiesto dalla legge – sottolineano – Inoltre, il rispetto della nostra indipendenza, imparzialità e neutralità è essenziale per garantire il nostro accesso alle popolazioni in pericolo, così come la sicurezza delle nostre équipe, ovunque nel mondo. Per questa ragione, essere direttamente associati alle autorità giudiziarie e alle attività investigative può essere dannoso. In particolare sulle nostre navi, la presenza della polizia potrebbe prevenire persone vulnerabili, come vittime di tortura, di traffico di esseri umani e di violenze sessuali, dal farsi avanti e cercare cure mediche”.

Msf chiede, di chiarire che la presenza della polizia giudiziaria sulle navi delle Ong non sarà permanente; menzionare esplicitamente che i funzionari di polizia giudiziaria non saranno armati; garantire che venga emessa un’autorizzazione preventiva da parte dello stato di bandiera della nave, prima che un funzionario di polizia giudiziaria di un altro stato possa salire a bordo; chiarire dove e in quali circostanze la polizia giudiziaria può salire a bordo (acque internazionali, acque territoriali, acque contigue, porti); garantire esplicitamente che la nostra assistenza medica e umanitaria non verrà ostacolata dalla presenza della polizia. In particolare, che i funzionari di polizia non entreranno nelle strutture mediche e non interferiranno nelle attività mediche sul ponte né nelle attività di soccorso; che la confidenzialità medica sarà in ogni caso rispettata; che il carattere umanitario del nostro staff sarà rispettato e non verrà chiesto ai nostri operatori di fornire supporto diretto alle attività di polizia. (ec)

Da redattoresociale


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