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L’agenda rossa e la strage di via d’Amelio

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L’ Italia è davvero uno strano paese. Da una parte ci sono istituzioni che non funzionano o esistono soltanto sulla carta ma non nella realtà e mancano molto agli italiani quando la loro presenza sarebbe importante o addirittura necessaria. E questi pensieri vengono in mente quando -per esempio oggi a Palermo, in via d’Amelio, luogo della strage in cui, 25 anni fa, vennero uccisi Paolo Borsellino con le donne e gli uomini che formavano la sua scorta da Cosa Nostra- si presenta in piazza Maqueda
presso l’omonima libreria un libro edito da Feltrinelli che si intitola “L’agenda ritrovata” e raccoglie alcuni racconti su quel che accadde venticinque anni fa e su quello che lo stesso Borsellino raccolse nei giorni che passarono tra l’assassinio a Capaci di Giovanni Falcone e quello dello stesso Borsellino due mesi dopo.
A un quarto di secolo dal 19 luglio 1992 sono quattro i processi celebrati per far luce sull’assassinio del magistrato palermitano e dei cinque membri, donne e uomini, della sua scorta. Eppure ancora oggi restano molti interrogativi che non hanno mai ricevuto una risposta: dalle modalità del depistaggio a chi lo ha condotto, al motivo per cui le indagini sono state depistate. E poi la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, l’ipotesi sul coinvolgimento di soggetti esterni a Cosa Nostra, l’accelerazione del progetto di morte perseguito 57 giorni dopo l’uccisione di Falcone. I nomi degli agenti di scorta vanno ricordati e sono quelli di Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina.
E invece, 25 anni dopo la strage di via D’Amelio, si sa tutto ma ancora niente. Più di venti ergastoli accertati per mandanti ed esecutori mafiosi sono sicuramente un risultato importante ma rappresentano comunque solo un piccolo tassello di una verità più complessa. Di informazioni sul modo in cui venne assassinato Borsellino sono stracolmi i fascicoli processuali, i verbali dei collaboratori di giustizia, i giornali, i libri usciti a ritmo praticamente continuo. Solo che la metà di quelle informazioni è da considerarsi incompleta, se non completamente falsa. Falso era sicuramente il protopentito che si autoaccusò della strage sotto la minaccia di sevizie e torture. Falso era il suo status criminale, elevato per l’occasione da balordo di periferia che rubava gomme di auto scambiandole con dosi di eroina a quello di boss stragista. Falso era il teatrino di riscontri e testimoni che gli avevano costruito attorno con pentiti altrettanto posticci come Francesco Andriotta, Salvatore Candura e Calogero Pulci, travestiti da complici rei confessi. Falsa era infine la colpevolezza degli imputati condannati sulla base delle dichiarazioni di Scarantino che proprio alla vigilia dell’anniversario numero 25 si sono visti assolvere dall’accusa di strage nel processo di revisione: alcuni sono stati scagionati dopo 18 anni passati in regime di carcere duro, altri invece avevano già scontato integralmente la pena per reati minori collegati all’eccidio del magistrato palermitano.
Del resto sui mandanti e sui moventi di quella che è la carneficina più misteriosa del dopoguerra vige ancora il buio pesto: non si sa perché Cosa Nostra abbia accelerato l’uccisione di Borsellino soltanto 57 giorni dopo l’assassinio di Falcone. Era perché sapeva della trattativa in corso e si era messa in mezzo? Allora è forse per questo che ancora oggi non si ha alcuna idea della fine che possa aver fatto l’agenda rossa di Borsellino, il diario dove Borsellino annotava intuizioni, spunti, ipotesi di indagini evidentemente fondamentali per decriptare quanto stava succedendo tra la fine della prima repubblica e l’inizio della seconda (secondo la datazione che i giornali hanno fatto dell’ultimo periodo storico del lungo dopoguerra). Una traccia o poco più hanno lasciato i pupari, cioè i registi che hanno ideato e portato avanti il clamoroso depistaggio andato in onda sulle indagini della strage. Il depistaggio è che, a un quarto di secolo da via d’Amelio, si sa ancora molto poco. E quel poco che fino a pochi anni fa non bastava a capire che cosa veramente è successo. Nel 2008 c’è voluta la collaborazione di Gaspare Spatuzza per riscrivere la fase esecutiva dell’eccidio, smentire definitivamente Scarantino, scagionare sette innocenti che da anni erano rinchiusi al 41 bis da stragisti quando invece -è il caso di Gaetano Murana- nella vita erano stati magari soltanto degli onestissimi operatori ecologici di borgata. Le dichiarazioni di Spatuzza -che per la verità sui falsi pentiti di via D’Amelio aveva parlato inutilmente anche dieci anni prima- hanno portato al quarto processo sulla strage Borsellino che per comodità gli inquirenti hanno ribattezzato semplicemente Borsellino quater, quasi fosse la quarta stagione di una serie televisiva. La speranza è che non sia l’ultima. E che i giudici riescano a ricostruire con precisione responsabilità e colpevoli di quegli assassinii.


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