“Purtroppo c’e’ sempre, ed e’ estremamente diffusa, la voglia di convivenza con il fenomeno mafioso; pero’, con riferimento specialmente alle giovani generazioni che sono quelle che hanno meglio recepito questo messaggio indirettamente culturale delle indagini e dei processi, la situazione sotto questo profilo e’ migliorata. Quindi ritengo che sia indispensabile che vi sia un dibattito culturale e il massimo di informazione possibile sui problemi inerenti le indagini sulla criminalita’ mafiosa”.
Sembrano parole di oggi quelle pronunciate da Paolo Borsellino il 31 luglio del 1988, davanti al Comitato del Csm, considerazioni disponibili integralmente per la prima volta, dopo la desecretazione degli atti disposta da Palazzo dei Marescialli in occasione del 25esimo anniversario della strage di via D’Amelio.
Borsellino è un esempio, raro, di lavoro di squadra, di amicizia leale con i suoi “compagni” di lavoro. E’ stato lui a cercare in ogni modo di fare da “sponda” a quel pool tanto voluto da Chinnici (che pagò con la vita questa scelta) e tanto difeso da Caponnetto, poi nei fatto dissolto nel nulla con la nomina di Antonino Meli, preferito dal Csm a Giovanni Falcone.
Paolo Borsellino le sue idee le difendeva, così come il suo lavoro (di squadra, appunto) e che non esitava, davanti la commissione del Csm, a pronunciare parole dure ed allarmanti, purtroppo rimase totalmente inascoltate.
“Sono preoccupato – ribadiva – per il risorgere di una antica piaga: quella voglia di convivenza con la mafia, voglia di convivenza nel senso di ritenere che si tratti di qualcosa che non potra’ mai essere debellato e quindi teniamocela, speriamo che faccia meno danno possibile sotto il profilo dell’ordine pubblico, perche’ spesso i problemi mafiosi si intendono sotto questo profilo, piu’ morti ci sono piu’ mafia c’e’, meno morti ci sono meno mafia c’e’. Secondo me e’ esattamente il contrario”.
Parole che fanno il paio con la frase, nota a tutti, con la quale invitava a “parlare di mafia sempre”. Parole ed idee spesso calpestate da chi, ancora e soprattutto oggi, sostiene che parlare di mafie voglia dire inquinare la bellezza della propria realtà.
Paolo Borsellino è morto 25 anni fa oggi, ma la sua agonia è iniziata quel 23 maggio in cui vide morire l’amico e collega “Giovanni”. Eppure da allora tanti i suoi appelli rimasti inascoltati, da quel “Giuda” che tradì Falcone pronunziato nel suo ultimo discorso, alle falle nella sua sicurezza che lo portarono a saltare in aria con un’autobomba posta proprio davanti a casa della madre, quel maledetto 19 luglio del 1992. E poi quell’agenda rossa scomparsa, quell’audizione richiesta a Caltanissetta e mai ottenuta, fino alle coperture di infedeli dello Stato che hanno tramato per permettere a menti molto meno fini, solo mafiose, di ucciderlo.
Uccidere lui, non le sue idee che continuano a camminare sulle gambe di molti giovani, quegli stessi giovani che Antonino Caponnetto, subito dopo le stragi, iniziò ad incontrare per tutta Italia. I giovani, tanti quelli entusiasmati da Libera, che vogliono sentirsi protagonisti non solo del domani, ma del presente. Un presente che merita tante risposte, perché non ci potrà essere giustizia senza verità ed i traditori dello Stato non sono solo quelli già in galera, ma anche chi ha evitato di ribellarsi, chi ha collaborato e trattato con “cosa nostra” o, peggio ancora, chi ha sfruttato i mafiosi per i propri disegni delittuosi.
Quella Giustizia e quella verità che merita la famiglia di Paolo Borsellino, così come la famiglia Falcone-Morvillo, ma anche – vi prego almeno oggi non dimentichiamoli – quelle donne e uomini morte il 19 luglio con il Giudice Paolo Borsellino: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Paolo Borsellino vive!