Restano in carcere sei degli otto attivisti di Amnesty Turchia arrestati il 5 luglio, tra cui la direttrice dell’organizzazione Idil Eser.
Il tribunale turco che si è espresso sulla richiesta di scarcerazione presentata dagli avvocati degli imputati ha ordinato che i difensori dei diritti umani rimangano in detenzione.
La Eser era stata prelevata con la forza, insieme ad altre nove persone tra cui due formatori stranieri, durante un workshop sulla sicurezza digitale e la gestione dell’informazione a Buyukada, un’isola a Sud di Istanbul.
“Sei sono stati trattenuti in custodia e quattro sono stati rilasciati pur rimanendo sotto controllo giudiziario” ha dichiarato il ricercatore di Amnesty International, Andrew Gardner.
Nell’ultimo mese Idil Esel e Taner Kılıç, direttrice e presidente di Amnesty International Turchia sono stati arrestati e rinviati a giudizio con la grottesca accusa di sostegno a organizzazioni terroristiche: con loro, decine di difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici, parlamentari e attivisti imprigionati ingiustamente, in un clima sempre più pesante di oppressione favorito dallo stato d’emergenza introdotto dopo il fallito colpo di stato del luglio del 2016.
“Sarebbe potuto capitare a noi”: è la frase che da sempre ispira chi lavora e chi si attiva per Amnesty International. Ed è questo che rappresenteremo con un flash mob a Roma, giovedì 20 luglio, alle 18.30 – è l’appello di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – in piazza del Colosseo: saremo lì per Idil, Taner e tutti gli altri attivisti in carcere in Turchia per dire che difendere i diritti umani non è un reato”.
Articolo 21 e la Federazione nazionale della stampa anche questa volta saranno accanto ad Amnesty per manifestare contro l’arresto dei dirigenti dell’organizzazione e contro il bavaglio turco.
Questo primo momento di mobilitazione sarà seguito il 24 luglio da un’iniziativa in rete in concomitanza con l’inizio del processo ai giornalisti di Cumhuriyet, il più importante quotidiano di opposizione.
I colleghi attualmente in carcere sono Murat Sabuncu, capo redattore, Turhan Günay, editor e redattore del supplemento letterario, Haci Musa kart, illustratore, Ahmet Şik, corrispondente, Hikmet Çetinkaya, Hakan Karasinir, Recep Aydin, editorialisti, Günseli Özaltay insieme a Bülent Yener-Cumhuriyet, degli Affari fiscali, Bülent Utku, Mustafa Kemal Güngör, Akin Atalay, dell’ufficio legale, Alessio Çelik, membro del Comitato esecutivo del giornale, Amior Gürsel, consulente editoriale e Guray Tekin Öz, rappresentante dei lettori.
Sono invece liberi, dopo aver trascorso svariati mesi in carcere l’ex direttore di Cumuhuriyet, Can Dündar e il caporedattore Erdem Gul, arrestati nel novembre 2015 con l’accusa di spionaggio e divulgazione di segreti di Stato.
Entrambi sono stati rilasciati nel febbraio 2016 in base ad una sentenza della Corte costituzionale. I giudici supremi stabilirono infatti che l’arresto dei due giornalisti aveva violato il loro diritto alla libertà personale.
I colleghi ancora in prigione sono invece accusati di far parte della presunta rete terroristica FETO che fa capo a Fethullah Gulen, predicatore ritenuto ideatore del fallito golpe in Turchia di un anno fa. Rischiano l’ergastolo.
Il loro processo prenderà il via nel giorno in cui si celebra la libertà di stampa nel Paese: il 24 luglio del 1908 veniva infatti abolita la censura in Turchia. Una coincidenza beffarda, quasi crudele vista la persecuzione e la repressione attuata dal presidente Recep Tayyip Erdogan nei confronti dei giornalisti liberi e di tutti coloro che cercano di contrapporsi al bavaglio turco e alle violazioni dei diritti umani.