Non sarà, forse, ricordata come l’edizione più scoppiettante del Premio Strega, non passerà alla storia come quelle che hanno visto premiati i capolavori di Elsa Morante, Pavese e altri giganti della letteratura contemporanea; fatto sta che “Le otto montagne” di Paolo Cognetti, risultato vincitore ieri sera presso il Ninfeo di Villa Giulia, è comunque un romanzo che suscita la nostra curiosità.
Questa vicenda segnata dalle pietre squadrate, dalla neve, dalle rupi e dalle pareti rocciose, questa scoperta di sé e della propria intimità ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo restituisce, infatti, il senso di un destino comune e, per questo, merita di essere approfondita nella sua narrazione complessa e non certo priva di spigoli.
Allo stesso modo, merita di essere scrutato in profondità il romanzo di Alberto Rollo dal titolo “Un’educazione milanese”, in quanto questa Milano operaia, perfettamente moderna e al tempo stesso anacronistica, impregnata delle vicende personali di un uomo che il padre, da bambino, conduceva a vedere i cantieri e gli operai al lavoro, questa Milano sentimentale, romantica e struggente ha un suo perché letterario e sociale, specie in una stagione segnata dalla società liquida, dall’assenza di ideologie e dalla rarefazione, per non dire dalla scomparsa, dei valori.
Senza dimenticare il respiro profondo di Napoli offertoci da “La compagnia delle anime finte” di Wanda Marasco: un romanzo d’anima, per l’appunto, umile ed epico al contempo, ricco di spunti di riflessione, di profumi, di colori, di drammi e di vita comune, quotidiana ma non per questo meno suggestiva delle grandi saghe che hanno reso affascinante il nostro panorama letterario.
A chiudere la cinquina, Teresa Ciabatti con “La più amata”, un’autofiction a metà fra la saga familiare e il racconto storico condotto in prima persona, e Matteo Nucci con “È giusto obbedire alla notte”, dove la notte è quella dei suoi protagonisti e, naturalmente, sullo sfondo, quella di una Roma mai così fragile e difficile da decifrare.
Uno Strega interlocutorio, insomma, un premio d’attesa, alla scoperta di nuovi talenti della letteratura, in sintonia con la fase politica che stiamo attraversando ma, nonostante tutto, degno di menzione.
Ci sono state senz’altro edizioni migliori ma anche questa settantunesima, alla luce di come siamo ridotti, merita di essere guardata con un minimo di benevolenza.