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Dna, per le mafie meglio la corruzione della violenza

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Donatella D’Acapito

C’è una cosa che più di tutte dovrebbe preoccupare nella relazione della procura nazionale antimafia e antiterrorismo presentata il 22 giugno scorso a Roma. Dovrebbe preoccupare il riconoscimento strutturato del ruolo del “facilitatore”. Occuparsene significa decretare l’interesse delle mafie ad agire con poco clamore, ma con i maggiori risultati possibili, a discapito di una veste violenta e militarizzata che fa più parte della narrazione, ormai, delle stesse mafie di quanto le appartenga in realtà.

Personaggio dalle competenze specifiche, il facilitatore è colui che consente alle mafie di accostare ed entrare negli appalti pubblici come negli affari privati; è colui che permette alla criminalità organizzata di sviluppare i propri interessi economici. Insomma, c’è nell’ultima relazione – e in questa figura – un riconoscimento di contiguità fra corruzione e mafia che, se trascurato, non permetterebbe un reale contrasto al fenomeno mafioso.

Le mafie cambiano aspetto rapidamente e cambia anche la loro predominanza in Italia e all’estero. Il sorpasso della ‘ndrangheta su Cosa nostra – e non a caso è la prima delle quattro mafie tradizionali di cui si parla –  è ormai definitivo soprattutto grazie alla capacità che ha di occupare il territorio, basti pensare alle proposte di lavoro che vengono fatte ai giovani calabresi in cambio del voto, incidendo così sulla quotidianità più che in altro modo.

Si nega, invece, l’effetto di “camorrizzazione” di Cosa nostra, perché i capi, una volta scontata la pena, escono e vanno a riprendersi il potere che avevano. Così come l’attività estorsiva resta per la mafia siciliana uno degli strumenti preferenziali di controllo del territorio.

La camorra, sembra rispondere a questa anarchia portata avanti da giovani all’apparenza senza regole. È la mafia più in ebollizione. C’è un aumento di omicidi di oltre il 30% rispetto al 2015. Il fenomeno del pentitismo è sempre stato florido, ma si fanno sempre più pressioni sulle famiglie di chi si pente.

L’elemento della camorra napoletana e anch’ esso frutto della reazione dello Stato cioè siamo di fronte ad una rottamazione dei vertici della camorra napoletana a seguito dell’ azione giudiziaria. Mentre nella mafia siciliana e nella ‘ndrangheta si reagisce ai colpi mantenendo saldo la propria struttura, in Campania lo si fa abbandonando la vecchia struttura rottamando i vertici con una grande aspirazione dei giovanissimi a prendere il comando. Un atteggiamento che viene definito come un complesso napoleonico, cioè il bastone da maresciallo nello zaino di ogni giovane killer napoletano.

Poi c’è la Sacra Corona Unita, di cui si parla poco – anche durante la presentazione – ma non per questo è innocua. “Le attività di indagine in corso sia con riguardo alla provincia di Brindisi che a quella di Lecce – si legge nella relazione – testimoniano di una perdurante, e per certi versi rinnovata, vitalità dell’associazione mafiosa Sacra corona unita, da tempo insediata in questi territori. Tutte le principali attività criminali delle due provincie, infatti, benché talora possano apparire autonome ed indipendenti da logiche mafiose, ad uno sguardo più approfondito risultano fare riferimento alla associazione mafiosa, cui comunque deve essere dato conto”.

“Anche quest’anno anche la corruzione è considerata come l’ elemento fondamentale del cambiamento del fenomeno mafioso”, ha detto Rosy Bindi, presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, introducendo la relazione. E lo ha detto facendo riferimento immediato al disegno di legge giunto al Senato sulla confisca e sul riutilizzo dei beni: “Sequestrare i beni alla mafia e opporsi alle mafie oggi significa sequestrare i beni anche ai corrotti. Questa legislatura non può finire senza che la lotta alla mafia abbia a disposizione strumenti più efficaci per sequestrare e confiscare i beni ai mafiosi per poi riutilizzarli e restituirli alla comunità, soprattutto per quanto riguarda le imprese”.

Un tema che, in termini di ricaduta economica per il Paese, si intreccia con quello degli appalti. A tal proposito Bindi ricorda come la Commissione abbia accolto la proposta contenuta nella relazione affinché anche coloro che aderiscono ai consorzi, spesso un vero e proprio cavallo di Troia della criminalità, con una percentuale inferiore al 10%, siano tenuti a presentare la certificazione antimafia: “È stato presentato un emendamento da parte dei relatori proprio sull’approvazione del Codice antimafia e quindi in tempo reale recepiamo questa proposta che va dato atto il procuratore ha fatto fin dall’ inizio dalla legislatura disegno di legge, il Progetto giusto nel quale inserire questo aspetto è appunto il Codice antimafia e quindi procederemo in questo senso”.

Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, parte dall’analisi delle mafie tradizionali e, atti giudiziari alla mano, sottolinea lo sviluppo e il radicamento della ‘ndrangheta nel centro-nord del nostro Paese e anche all’ estero. “Non è un fatto nuovo – dice – ma è nuovo che stiamo incominciando a far capire, soprattutto in alcuni Paesi esteri, che il fenomeno ‘ndrangheta è un fenomeno estremamente pericoloso estremamente radicato anche fuori dall’Italia e che per questo deve essere combattuto anche lì con adeguata determinazione per poterlo sconfiggere”. Non basta che all’estereo la lotta alla criminalità organizzata si traduca solo nell’espletamento delle rogatorie: una volta che i nostri investigatori hanno fornito gli strumenti di conoscenza dei fenomeni, tocca anche alle autorità giudiziarie locali condurre indagini autonome in collaborazione con l’Italia, proprio come voleva Giovanni Falcone, quest’anno più volte ricordato.

Roberti si dedica poi a Cosa nostra avvertendo come il momento di crisi che sta vivendo l’organizzazione siciliana non implica automaticamente il suo declino: “Non è che non ci siano attività in corso da parte degli esponenti delle varie famiglie mafiose, ma in Sicilia c’è un contrasto come molto efficace. C’è una difficoltà a individuare i nuovi referenti, ma è la stessa crisi che poi determina un contenimento delle azioni criminali vistose per quanto riguarda tutte le province siciliane”.

Ma dove stanno andando le mafie? Roberti lo dice chiaro: “il nuovo trend di infiltrazione mafiosa negli appalti dell’ economia legale che riguarda soprattutto, lo abbiamo registrato con una serie di procedimenti giudiziari, il settori del traffico di rifiuti”.

Ma se la mafia deve infiltrarsi nell’economia legale, se deve mettere sul piatto la risposta alla domanda che di volta in volta la società formula, allora i rapporti con chi mafia per “nascita” non è devono essere sempre tenuti in caldo.

“Il nuovo strumento operativo è esattamente la corruzione. Oggi possiamo registrare dappertutto senz’altro una drastica riduzione del numero degli omicidi: questo significa soltanto che le mafie operano maggiormente con lo strumento della corruzione. E ad essa la relazione di quest’ anno dedica un ampio capitolo dove emerge anche il ruolo dei cosiddetti facilitatori, cioè coloro che consentono all’organizzazione mafiosa di entrare in contatto con gli altri soggetti necessari per potersi infiltrare nei pubblici appalti. Fanno da mediatori con i politici, con i funzionari; fanno da collegamento e spendono le proprie competenze per la definizione dei bandi di gara e per poi mediare con le commissioni che assegnano i bandi stessi e con quanti si occupano dei collaudi.”.

C’è poi la questione delle mafie straniere nel nostro Paese che Roberti affronta trattando anche il tema spinoso dell’immigrazione e dell’accoglienza: “La situazione si è notevolmente aggravata nell’ ultimo biennio e i dati lo dimostrano. Ci sono almeno dieci etnie, tra cui le più importanti a nostro avviso sono quella nigeriana, quella albanese, quella marocchina, quella tunisina, che delinquono nel nostro Paese in forma organizzata. Abbiamo individuato, con riferimento a documenti ufficiali anche dei ministeri Interno, uno stretto collegamento tra i flussi migratori e l’aumento della criminalità in nel nostro Paese. Aumento soprattutto di predatori e ciò dimostra che se a fronte del flusso migratorio non esiste un sistema di integrazione delle persone che arrivano, va da sé che queste persone diventino facile preda della criminalità organizzata e della criminalità comune venendo coinvolte come manovalanza nelle attività criminali”.

Continua Roberti: “Nel settore della cooperazione internazionale abbiamo individuato criticità soprattutto nel momento dello scambio informativo che non dipende da noi, visto che è una capacità che ci viene universalmente riconosciuta accanto a quella del coordinamento. La maggior parte dei cannabinoidi viene dall’Albania e per questo c’è la necessità di rafforzare le info da quel fronti. Abbiamo per questo istituito delle squadre investigative comuni con Spagna e Albania”.

Ma se si parla di criminalità transnazionale non si può non parlare di terrorismo. Continua Roberti: “Lo scambio tempestivo e completo delle informazioni sia a livello di forze di polizia che a livello di organismi giudiziari è necessaria per contrastare il fenomeno terroristico. Purtroppo questo convincimento non è ancora patrimonio comune di tutti i Paesi coinvolti: non tutti i Paesi sono disposti a condividere le informazioni. Abbiamo svolto una azione molto utile importante nel settore del contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo costituendo, insieme alla Direzione Investigativa Antimafia e al nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza, gruppi di lavoro per l’analisi e la tempestiva valutazione delle segnalazioni di operazioni sospette che provengono dal mondo bancario e finanziario. Questa buona prassi che abbiamo costituito è stata tradotta in legge nel nuovo decreto antiriciclaggio”.

L’occhio dello storico

Fin qui i dati. Quando poi la parola passa a Isaia Sales, docente di Storia delle Mafie presso l’Università Suor Orsola Benincasa, si aprono nuove prospettive: come è possibile, infatti, che ai successi ottenuti negli ultimi tempi corrisponda ancora un tasso di pericolosità e di vitalità così elevato della criminalità organizzata? “Negli ultimi anni –dice Sales – gli apparati dello Stato hanno fatto la loro parte contro la mafia come mai nel corso della storia precedente. L’ impunità delle mafie, che è stata una delle caratteristiche fondanti dell’ identità dei mafiosi, è stata intaccata. Ecco, nonostante questo straordinario impegno e nonostante siano finiti in galera capi storici latitanti, com’è che il fenomeno lo descriviamo ancora in maniera così preoccupante?”.

Domanda lecita che ha in sé una risposta che interroga tutti, a partire dai vertici delle istituzioni. “La ristrutturazione delle mafie di cui si parla nella relazione è proprio la risposta che esse danno rispetto all’azione repressiva dello stato. Il successo di una mafia arcaica è possibile solo nella modernità se stabilisce relazioni con la modernità, cioè con l’economia così come è oggi con l’economia moderna. Nella relazione si evidenzia anche come i Casalesi stiano rispondendo ai colpi che hanno avuto mettendo ai vertici della loro organizzazione la parte economica, cioè gli imprenditori”.

Ecco allora quale è il punto: “Ad una mafia che non ha una caratteristica semplicemente criminale – sottolinea Sales – non si può rispondere solo con la risposta militare repressiva. Non si può intervenire sulle mafie solo dal punto di vista criminale, perché il fenomeno si riproduce e se è un fenomeno criminale si riproduce vuol dire che ha delle caratteristiche di consolidamento evidente sul territorio che sono in grado di rispondere alla guerra. È come se alla guerra la mafia rispondesse con la guerriglia. E la guerriglia la fa occupando in modo diverso il territorio e gli spazi che ci sono”.

Il problema è che la mafia riesce a trovare sempre un modo nuovo per affrontare gli attacchi, sposta i propri interessi e i punti di contatto per infiltrare gli ambienti sani. E accetta, se le conviene, anche di sottostare a un altro potere perché questo si traduce in un vantaggio economico per essa.

“È l’ economia una delle nuove forme di legittimazione delle mafie – continua ancora Sales -; all’indomani di un contrasto così forte dello Stato, le mafie trovano delle nuove opportunità nel mondo illegale a loro congeniale: cioè nello spazio illegale della società italiana che produce ricchezza, come succede nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Le mafie si insinuano nella parte a cui legalmente non si riesce a far fronte: danno cioè la risposta a un problema. Per continuare ad avere questo bacino d’azione, le mafie per la prima volta sottostanno alla corruzione, e cioè a un altro ordinamento illegale sovraordinante rispetto ad esse. Mi permetto di dire che l’unico campo illegale che lo Stato non riesce fino in fondo a contrastare è proprio quello dell’ economia illegale. Ed è vero a tal punto che abbiamo inserito le mafie nel Pil, le abbiamo rese protagoniste dell’economia.

Mafia e corruzione dominano negli stessi settori. la corruzione le mafie sono vicine da questo punto di vista tutto ciò che il pubblico può essere privatizzato attraverso le relazioni. In queste relazioni c’è anche il rispetto che uomini delle istituzioni danno a leggi che non sono tali. Questa è l’eredità pre-feudale che ancora ci portiamo dietro. E cioè quella secondo cui il potere vero è quello di aggirare le leggi e di poterci arricchire in questo modo. L’ arcaicità della ‘ndrangheta e la crescita delle mafie si trovano a loro agio perché potere fare soldi aggirando la legge è l’eterna continuità del senso comune degli italiani. E la si smetta di dire che è un problema di mentalità, dei ceti popolari, della gente. Questo è un problema di mentalità dell’élite del Paese e l’élite del Paese a un problema di mentalità delle sue classi dirigenti che continua a ritenere che l’ aggiramento della legge è necessario per governare e necessario per fare soldi”.

 

Le parole di Sales non lasciano indifferenti né il Pna né la Presidente della Commissione. Roberti invita tutti a non abbassare la guardia perché teme che possa essere sottovaluta la capacità di penetrazione delle mafie a fronte dei successi militari che lo Stato ha avuto su di essa.

“I morti per strada sono più riconoscibili delle buste con cui si truccano gli appalti. La mafia non sarebbe mafia se non fosse in grado di coinvolgere la politica: sarebbe semplice criminalità”, dice Bindi che poi richiama la classe politica dirigente a riprendersi il proprio ruolo con una constatazione laconica: “Persino i criminali non ci cercano più. La mafia interloquisce più con i facilitatori e con gli imprenditori perché la politica ha perso la propria leadership di guida dei processi. Visto il modo di agire delle mafie oggi, per combattere le mafie non basta una legislazione antimafia, ma serve chiudere tutte le possibilità di comportamento illegale. Non è sufficiente un politico con la schiena dritta se poi tutti i facilitatori rivendicano la propria autonomia”.

È più difficile combattere una mafia che spaventa meno del passato, che supplisce alle carenze dello stato dando risposte. Ecco perché il ruolo dell’informazione è importante: perché le cose vanno dette. Nella relazione si fa riferimento anche al condizionamento a livello locale sull’informazione, cosa di cui si parla molto poco. La mafia teme la verità. La conoscenza libera le persone e questo è ciò che la mafia teme, così come hanno sempre ricordato uomini e donne che sono arrivati a sacrificare la vita nella lotta alla criminalità organizzata.

Da liberainformazione


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