La deriva della democrazia francese, quella nata in queste settimane sulle ceneri della Quinta Repubblica, è sancita da una cifra allarmante: il 62% dell’elettorato si è astenuto o ha votato scheda bianca o nulla. In tutto 29 milioni su 47 milioni di elettori. E così la vittoria del giovane “rinnovatore” Emmanuel Macron alle presidenziali e alle legislative sembra poggiare sulle sabbie mobili di una palude sociale instabile. “En marche!” con i suoi giovani adepti, certo, ma più verso l’incognito che verso nuovi orizzonti di gloria.
Dopo la sbornia elettorale, “ora i francesi vorrebbero passare ad altro e i Macron boys and girls lavorare infine a riformare la Francia, poiché questo è il loro “projeeeettt”!”, ha commentato col suo abituale sarcasmo politico la direttrice di Huffington Post France, Anne Sinclair. E inoltre prevede anche lei difficoltà da superare per il giovane Presidente: “Toccherà a lui convincere che la sua politica non è di stampo plebiscitario (questa astensione enorme, senza precedenti in Francia, addirittura al 74% tra i giovani entro i 18-25 anni), ma che ha tratto beneficio dall’affondamento del terreno attorno a lui, ancor più minato di quanto si pensasse”.
La Francia si avvia, insomma, nonostante il risultato estremamente favorevole a Macron, ad un futuro pieno di insidie. La schiacciante vittoria sui resti inceneriti degli storici partiti di sinistra e di destra (in primis socialisti e repubblicani, ma anche il Front National di Marine Le Pen), non lo mette al riparo dai mali insiti nel sistema politico francese: scandali amministrativi, dubbia moralità istituzionale anche di diversi leader schieratisi da subito con il suo movimento “La République en marche!”. E già all’inaugurazione della nuova Assemblea Nazionale, Macron ha dovuto mettere mano ad un rimpasto del suo governo, presieduto da Edouard Philippe, per trovare una via d’uscita all’impasse delle dimissioni di 4 ministri, tra i quali il potentissimo ed inossidabile alleato, François Bayrou, leader dei MoDem, forte di una pattuglia parlamentare di 42 deputati (che con i 308 macronisti, fanno salire la maggioranza assoluta a 350 seggi). Non era mai successo finora che un Presidente neo-eletto cambiasse parte del governo, a neppure due mesi dal suo insediamento.
Il “ciclone” Macron rischia, quindi, di diventare già ad inizio mandato “un’anatra zoppa”, come gli americani definiscono il loro presidente quando si trova però verso la fine del suo mandato con la maggioranza delle due Camere di segno opposto al suo. Un’instabilità istituzionale alla quale andrà aggiunta quella che si ritroverà sulle piazze, con la stagione di lotte preannunciata da parte di alcuni sindacati, come la CGT, e la sinistra radicale (come la France Insoumise dell’irriducibile Mélenchon) su proposte di legge tipo: il Codice del lavoro, le 35 ore, il taglio drastico della spesa sociale e del welfare per ridurre il deficit di bilancio da troppi anni oltre il 3%, le pensioni e la riforma delle tasse.
Forte in Parlamento, ma debole tra l’opinione pubblica, il “rinnovatore” Macron dovrà quindi riuscire a coniugare il suo spirito riformatore, di stampo liberista, con l’animo ribelle e radical-socialista della maggioranza silenziosa francese. Sì, perché questa volta la maggioranza silenziosa, forte del 57,36% di astensioni, più il 9,87% dei votanti schede bianche e nulle, esprime il disagio degli ambienti solitamente schierati a sinistra, ma anche radicali e liberal-progressisti di centro. In effetti, il tasso di astensionismo ha interessato di meno la destra, che vedeva nelle legislative, dopo l’exploit alle presidenziali, un’occasione di riconferma della sua forza. I neofascisti sono riusciti a portare una discreta pattuglia di parlamentari: 8 del Front National con a capo la stessa Marine Le Pen, più altri 8 ultra-nazionalisti. Un’Assemblea nazionale, comunque, che per la prima volta nella sua storia accoglie anche una fortissima compagine femminile: 223 deputate (erano 115 all’altra legislatura), ovvero il 38,65% dell’intero Parlamento.
Nel volgere di nemmeno due mesi, l’elettorato francese si è prima scrollato di dosso i sopravvissuti dei partiti della Quinta Repubblica (socialisti e gollisti), per poi orientarsi verso il “rinnovatore” Macron, facendo baluardo contro la minacciosa avanzata dell’euroscettica e sovranista Le Pen. Ma vediamo alcuni numeri esplicativi.
I votanti al primo turno delle Presidenziali sono stati 37 milioni (77,77%), astenuti 10 milioni e 600 mila (22,23%), cui aggiungere 950 mila schede bianche e nulle. Al secondo turno, quando lo scontro si radicalizzava tra la Le Pen e Macron (spalleggiato dal suo movimento, dagli ex-gollisti I Repubblicani, da una parte dei socialisti e dal MoDem, ma osteggiato dalla sinistra unita di Mélenchon), i votanti comunque sono diminuiti a 35 milioni e 400 mila (74,62%), l’astensione è cresciuta a 12 milioni (25,38%), ed è esplosa la protesta nelle urne con 4 milioni (11,50%) di schede bianche e nulle. Macron è risultato così eletto con 20 milioni e 753 mila voti (66,10%), la Le Pen sconfitta con 10 milioni e 644 mila voti (33,90%). Qualche campanello di allarme avrebbe dovuto suonare alle orecchie di sondaggisti, opinionisti e media, dal momento che l’astensionismo e la contestazione elettorale ai seggi erano passati da 11 milioni e 500 mila a 16 milioni. Mentre invece si profetizzava una maggioranza schiacciante per Macron sui 450 seggi all’Assemblea!
Ma così non è andata, anzi ai “Macron boys and girls” sono andati solo 7 milioni e 826 mila voti che, assommati a quelli del suo alleato Bayrou (1 milione e 100 mila) non raggiungono neppure i 10 milioni di consensi. In poche parole, il progetto anti-establishment e rottamatore dei vecchi partiti tra le presidenziali e le legislative ha perso per strada la metà degli elettori.
E ora? A Macron resta l’aureola di europeista convinto, di colui che vuole ristabilire con la cancelliera tedesca Merkel un equilibrio politico istituzionale sovranazionale, che invece con il suo predecessore Hollande era come svanito nella retorica d’antan del vecchio burocrate socialista. Il suo processo riformatore risente però dell’ideologia liberista, seppure più “compassionevole”, che rischia di surriscaldare il clima francese, già di per sé turbolento, e di portare allo scontro duro, nelle piazze e non solo, le parti sociali. Si troverà anche ad affrontare un’opposizione radicale, seppure ridotta, al Parlamento tra i seguaci di Mélenchon e la sua France Insoumise insieme a radicali di sinistra, verdi, nostalgici comunisti e quel che resta della pattuglia socialista; insieme a loro avrà del filo da torcere anche dalla destra sovranista ed euroscettica della Le Pen e degli altri ultranazionalisti.
E non è detto che i “poteri forti” (banche, finanza, big dell’industria di stato, gruppi editoriali e i “signori del lusso”) che pure hanno spalleggiato l’ascesa di Macron, restino a guardare uno scenario così barricadiero, proprio quando la locomotiva Europa sta riprendendo l’abbrivio, trainata dalla rivale Germania e aiutata anche dall’insipienza dei governanti conservatori inglesi, abbarbicati dentro la scialuppa sempre più ondeggiante della Brexit.