Sarà allestita fino al prossimo 20 agosto, al De Young Museum di San Francisco, la mostra intitolata: “The Summer of Love experience: art, fashion and Rock & Roll”, la quale ripercorre l’esperienza unica dell’estate californiana del ’67.
Erano gli anni delle manifestazioni studentesche contro la Guerra del Vietnam e la pessima amministrazione Johnson; erano agli anni dei giovani ribelli dell’università di Berkeley e di una contestazione che, a breve, sarebbe approdata anche in Europa; erano gli anni di Martin Luther King e del sogno mai sopito della Nuova frontiera kennediana; erano gli anni dei primi Bob Dylan e Joan Baez; erano gli anni del Che e dell’avvento, in ogni angolo del mondo, del mito immortale del realismo magico sudamericano, grazie al capolavoro di García Márquez (“Cent’anni di solitudine”) che nell’82 gli sarebbe valso il Nobel per la Letteratura; erano gli anni, infine, dell’eccesso e della follia creativa e la California era la Mecca di questa generazione assetata di poesia, di libertà e di emancipazione sessuale.
È incredibile rivedere le immagini di questa mostra, con quei ragazzi capelloni sdraiati sui prati con gli occhi spiritati, canne a volontà e la degenerazione legata al consumo di droghe e sostanze psichedeliche come l’LSD: nulla di commendevole, a mio giudizio, se non per quanto concerne l’ideale di riscossa che la controcultura hippie incarnava in una società ancora bigotta e profondamente incline alla repressione e all’annientamento di coloro che non si uniformavano ai costumi tradizionali.
È incredibile, specie se si pensa che dieci anni dopo, pur mantenendo intatta la propria indole libertaria e trasgressiva, la California si sarebbe trasformata nella Mecca del nuovo ordine mondiale liberista.
La California delle speranze e delle esagerazioni, dei sorrisi e dell’amore libero, dieci anni dopo, sarebbe diventata la patria del liberismo, sempre latente (non ci dimentichiamo che uno dei suoi governatori più influenti fu proprio Ronald Reagan) ma da quel momento in poi egemone, al punto che oggi, quando si pensa a quella parte del mondo, vengono in mente Google, Apple, Facebook, Twitter, le star di Hollywood e quella base valoriale, prima appannaggio esclusivamente dei repubblicani, poi purtroppo anche dei democratici, in netto contrasto con gli ideali dei ragazzi ribelli di mezzo secolo fa.
L’aspetto più triste è che, in alcuni casi, gli interpreti delle due stagioni coincidano, a dimostrazione del degrado morale cui è andata incontro quella generazione, degli eccessi sfociati in eccessi di segno opposto, degli estremismi apparentemente inconciliabili e, in realtà, complementari, della follia bonaria tramutatasi in becero cinismo e della spregiudicatezza feroce di una città, San Francisco, e di un paese, l’America degli ultimi trentacinque anni, in cui si è sviluppata la controrivoluzione conservatrice che ha soffocato il pianeta, con il suo abbraccio mortale e volto a distruggere ogni forma di pensiero indipendente.
E così, l’utopia che nel ’69 avrebbe condotto al grido di riscossa di Woodstock, ultimo fuoco americano prima della regressione sublimata dalla definizione nixoniana della “maggioranza silenziosa”, in quell’estate di mezzo secolo fa visse il suo momento più intenso, spensierato, assurdo, discutibile e degno di essere menzionato, a mo’ di ricordo e di riflessione collettiva su questo presente privo di utopie.
Il 6 ottobre del ’67 calò il sipario: vennero celebrati in piazza i funerali, ironici ma non troppo, di quell’estate sfrenata e venne decretata la morte del pensiero hippie, con i suoi protagonisti probabilmente consapevoli del fatto che un’orgia di divertimento, spontaneità e volontà autentica di costruire una società alternativa come quella non sarebbe più stata possibile, in quanto i Sessanta stavano per concludersi e i decenni a venire non avrebbero consentito lo sbocciare di nuove illusioni.
Il pensiero unico liberista, l’egemonia quarantennale della destra, l’avvento degli yuppie al posto degli hippie e il diffondersi di nuove droghe morali, non meno pervasive e dannose di quelle materiali della Summer of Love hanno fatto il resto.
Non rimane che la passione, la nostalgia e la memoria, oggi che quei ragazzi nudi che si rotolavano sui prati inseguendo orizzonti alternativi mettono quasi simpatia, pensando ai loro capelli bianchi, alle rughe sui loro volti e alle innumerevoli sconfitte che hanno subito negli ultimi cinquant’anni. Una storia sbagliata, sfociata in parte nel disincanto e in parte nello scempio, nell’irrisione e nell’abiura di quei valori traditi.
P.S. Dedico quest’articolo alla neocinquantenne Nicole Kidman, uno dei simboli dell’America migliore.