“E’ emerso il palese astio di Riina nei confronti di Don Ciotti” e “sussistono elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio apparendo difficilmente contestabile la forza intimidatrice tipicamente mafiosa evocata dai due interlocutori, non solo per i rispettivi ruoli di vertice in organizzazioni criminali, ma anche per i plurimi riferimenti a metodi mafiosi fatti nel corso del colloquio medesimo (come il controllo del territorio da parte della mafia, il “disturbo” arrecato da don Puglisi e l’auspicata uccisione anche di Don Ciotti proprio per la sua attività antimafia che giustificherebbe chi gli sparasse nelle corna”)”.
Quando un’ordinanza di archiviazione vale più di mille sentenze. Se fosse una “mera questione processuale”, si potrebbe ben sintetizzare con gli stralci riportati dall’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari di Milano.
Le parole di Riina, pronunciate nell’ora di socialità con il parigrado della “sacra corona unita”, Alberto Lorusso, processualmente possono anche “morire” con un’archiviazione, ma dalle parole del Gip di Milano, che nei fatti sposa la linea presentata dal legale (e vicepresidente) di Libera, Enza Rando, si evince molto altro.
Su tutto, oltre al “palese astio di Riina nei confronti di Don Ciotti”, emerge l’attività sociale ed antimafia di don Luigi e di Libera, ad iniziare dal riutilizzo dei beni confiscati (per la cui legge, al di là delle associazioni, il presidente di Libera si sta spendendo), vero “tallone d’achille” dei due capimafia.
Emerge, inoltre, la drammatica giustificazione dell’omicidio di don Pino Puglisi, portata nel parallelismo con Don Ciotti “in relazione alla volontà del sacerdote di “governare” un territorio di Cosa Nostra, in tal modo arrecando disturbo a genie per ammazzarlo e facendo uscire pazzi due bravi ragazzi come lo stesso Riina definisce i fratelli Graviano, mandanti dell’omicidio del prete”.
Infine sottolinea il Gip che, dagli elementi “emersi nel corso delle indagini (…) si evidenzia la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203/1991, che trasforma il reato di minaccia non aggravata (come iscritto dal Pubblico Ministero) da reato perseguibile a querela a reato perseguibile d’ufficio”. Appunto, come chiedeva l’avvocato Rando.
Per celebrare il processo quindi, secondo il Gip, manca la possibilità che le minacce potessero arrivare all’esterno. Se fosse solo così, da quando le parole dei boss sono state trattate dalla stampa, gli “ordini” sono ben chiari a scagnozzi e malacarne distribuiti sul territorio, quindi il risultato sarà pure un’archiviazione per Riina ma per Don Luigi (e Libera) il pericolo, qualora ci fosse bisogno di sottolineatura, rimane costante e dietro l’angolo.
Così come, ancora una volta, si comprende che l’attività di Libera, ad iniziare dal suo presidente per finire con ogni singolo ragazzo che fa volontariato nei campi “liberati”, sia fondamentale e da sostenere, magari proprio per contrastare l’atteggiamento denigratorio dei due capimafia (non pivellini in libera conversazione al bar, boss feroci che, nel caso di Riina, hanno cambiato drammaticamente la storia del nostro Paese).