80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Telecomunicazioni. Tim, c’è Poste per te

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Siamo all’ennesima puntata della saga dell’ex monopolio italiano delle telecomunicazioni.

Dopo la messa all’incanto per fare cassa (l’ingresso nell’euro) e l’avventura dei cosiddetti «capitani coraggiosi», dopo la spagnola Telefonica e la francese Vivendi, vi è stata -com’è noto- la scelta di scorporare rete e offerta di contenuti, con la conquista del tessuto nervoso dell’azienda da parte del fondo statunitense Kohlberg Kravis Roberts & Co. (KKR).

Se non vi fosse stato lo scorporo, si sussurra, la società afflitta dai forti debiti ereditati avrebbe rischiato di portare i libri in tribunale.

Ora la lancetta si è fermata sulla casella delle Poste, che di fatto è subentrata nella compagine acquisendo la quota di Vivendi, cui verosimilmente l’aria che tira sta stretta con il patron Bolloré così legato alla destra francese con i suoi problemi.

Il gruppo di Poste italiane rappresenta una delle strutture più rilevanti del panorama e ha saputo negli anni diversificare la propria attività, entrando con decisione e creatività nei servizi finanziari e migliorando la propria presenza nella logistica. Un peccato ce l’ha: il rapporto con le organizzazioni sindacali è difficile e relegato alla vecchia attività, come se le componenti moderne ed evolute non possano rientrare nel perimetro dei corretti rapporti di impresa e di lavoro. Il rinnovo del contratto è fermo.

Comunque, moltissima acqua è passata dall’età in cui le Poste erano una costola dell’omologo ministero e fungevano da territorio privilegiato per le scorrerie clientelari. Adesso il quadro è davvero mutato.

Non stupisce, quindi, che l’amministratore delegato Del Fante abbia immaginato di interagire con un mondo ricco di potenziali sinergie nell’universo digitale. E proprio l’ex apparato legato alla corrispondenza analogica ha l’evidente interesse di mettersi velocemente l’abito della crossmedialità.

C’è da domandarsi perché simile soluzione non sia stata attuata prima, evitando lo scorporo della rete con la conseguente perdita di valore della compagnia, priva ormai del gioiello di famiglia.

Naturalmente, sullo sfondo si agita pure la sagoma di Iliad, che potrebbe sedersi al tavolo per la ribadita contrarietà dei Palazzi che contano ad un numero eccessivo di operatori (da quattro passerebbero a tre). Si sottolinea in diversi studi che il comparto è in difficoltà, anche per la minaccia di far pagare cifre pesanti per le nuove frequenze e in ragione di una concorrenza divenuta impari con l’entrata in scena degli Over The Top. Del resto, il processo della «Ri-mediazione» tocca persino le nuove tecniche.

Se nel corso del tempo il fondo KKR ribadisse la linea consueta, ovvero di entrare valorizzando l’investimento e poi uscire, la partita della presenza pubblica ritroverebbe una strada insperata.

Si metterebbe fine ad una parabola amarissima, che ha di fatto indebolito l’industria italiana con la crisi di un protagonista storico.

Come è stato opportunamente sottolineato dal segretario della SLC-CGIL Riccardo Saccone, siamo -però- al cospetto di un passo avanti, non già di una sconfitta delle culture liberiste che hanno attraversato il sistema. È solo un inizio della cura. Servono con urgenza visioni strategiche.

Sull’insieme di tali temi si è tenuto presso l’università Luiss di Roma lo scorso 17 marzo un interessante convegno promosso dalla Fondazione Astrid e introdotto da Franco Bassanini, cui hanno partecipato molti operatori del settore e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Alla base dell’iniziativa vi è stato un approfondito volume, curato dallo stesso Bassanini insieme ad Antonio Perrucci (ed. il Mulino, Bologna, 2024), «Telecomunicazioni: una politica industriale per la doppia transizione». Per quest’ultima si intende l’interazione tra algoritmi e sostenibilità ambientale, come scrive l’introduzione e secondo le linee suggerite dai saggi del libro, a partire da quello di Vincenzo Lobianco.

Nel testo si riflette (auto)criticamente sulle modalità assunte dalla ventata privatizzatrice e si parla esplicitamente dell’assenza di una politica industriale. La ruota forse gira.

 

(Pubblicato su Il Manifesto)

 

 

 

 


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