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Simenon, Malempin: rimettere in discussione tutta una vita

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C’è grande attesa fra gli appassionati di Simenon per la  grande mostra  a lui dedicata e intitolata “Simenon. Otto viaggi di un romanziere”, che si terrà a Bologna dal prossimo 10 aprile all’8 febbraio 2026 negli spazi della Galleria Modernissimo, a cura di Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna e del figlio dello scrittore, John Simenon.

Nel frattempo godiamoci le ultime ripubblicazioni che Adelphi centellina ai fedeli lettori dello scrittore. Nella seconda parte del 2024   è uscito il romanzo “Malempin”. Scritto nel 1939 e pubblicato l’anno seguente racconta, in modo simile a “Pioggia nera”, ma con circostanze diverse, il tentativo di un protagonista adulto di ricostruire  un periodo della propria infanzia in cui è avvenuto qualcosa di significativo, che in qualche modo  ha segnato la sua vita. Il dottor Malempin è un medico trentenne, nel vigore degli anni e della carriera. Tutto sembra filare a meraviglia nella sua vita: stimato in ospedale, una famiglia perfetta, moglie e due figli. La storia parte dal giorno in cui va a ritirare un’auto nuova prima di  partire per le vacanze, per la prima volta non in Bretagna, ma nel Sud della Francia. Quella giornata sembra scorrere più veloce delle altre, in  modo “vertiginoso”, ma c’è nell’aria  come un presagio di disastro, che si presenta non tanto quando il protagonista distratto costringe un tram ad arrestarsi bruscamente per non investirlo, ma qualche ora dopo quando, tornato a casa per poi partire per il Sud con la famiglia, trova il figlio minore, Bilot, con la febbre alta. Bilot é un bambino di salute cagionevole, da poco uscito dal morbillo  e la diagnosi della sua attuale malattia è subito evidente: difterite di Marfan, una difterite maligna, che comporta gravi rischi “… i sintomi gravi generalmente sopraggiungono con virulenza verso il decimo giorno, conducendo al repentino decesso …”. Il figlio maggiore viene subito mandato dalla nonna per evitare il contagio; nella stanza  tutto l’occorrente viene approntato per assistere il bambino.

Il dottor Malempin, che non è pediatra,  preferisce farsi assistere da un serio collega, il dottor Morin, ma  lui stesso giorno e notte  veglierà sul piccolo e  gli somministrerà i farmaci necessari. Durante la notte, nell’intenso scambio di sguardi tra Malempin e il piccolo e docile paziente che guarda il padre con serenità e fiducia, il medico ha la sensazione che il bambino lo guardi come se lo vedesse “definitivamente”. Si ricorderà allora di una notte in cui si svegliò e suo padre  presso il suo letto  lo guardava coi suoi occhi azzurri un po’ sporgenti, allora aveva pensato “… lo vedo. Lo sento. Vive. E’ qui, com’era, come è sempre stato, come sarà per sempre”.  Si volta verso lo specchio, con fatica riconosce la propria immagine di uomo adulto e capisce  che quello che Bilot sta guardando è l’immagine definitiva di lui, quella che non cambierà mai nella sua mente per tutta la vita, come è stata per lui l’immagine del padre di quella notte. Da questo momento Malepin sviluppa un attaccamento particolare verso il figlio, non lo vuole lasciare un momento,  sente il bisogno di ricostruire la propria esistenza dal ricordo di quella notte in cui il padre, con un’incerata ancora gocciolante, alto, possente, le guance piene  e abbronzate lo guardava col suo sguardo azzurro. Nelle lunghe veglie presso il bambino  cerca di rimettere insieme in un quaderno di appunti la sua storia dall’infanzia fino all’età adulta, mettendo insieme brandelli di ricordi, vuoti di memoria inspiegabili e scomode domande. E’ affrontando questa ricerca che matura una convinzione che lo sgomenta:  gli unici anni di vita reale sono quelli dell’infanzia “E dopo , quando  crediamo di prendere di petto la realtà, non facciamo altro che girare più o meno a vuoto! Allora sarebbe soltanto Bilot a vivere veramente questi giorni!”.

Conclusioni che influenzeranno pesantemente lo sguardo sulla sua vita  di adulto, costringendolo a riflettere su difficili verità. Soprattutto, dato che i giorni veri sono quelli dell’infanzia, grande è il suo sforzo per ricostruirla, per indagare il rapporto col padre, con la madre, il fratello, la casa. Fino ad arrivare a un episodio dalle tinte noir, il mistero irrisolto della scomparsa del ricco zio Tasson, vicenda che determinerà una svolta sia nei suoi rapporti coi genitori, sia nella sua storia personale. Verrà adottato da parte di zia Elise, vedova Tasson, rimasta ormai sola. L’adozione lo allontanerà dalla famiglia e dalle difficoltà economiche, gli consentirà di completare gli studi e diventare un medico. Ma la frattura fra lui e la famiglia era già avvenuta e in particolare fra lui e la madre:  durante un colloquio coi gendarmi uno sguardo della madre ( ancora una volta uno sguardo)  lo aveva indotto a tacere una verità nell’indagine sulla scomparsa dello zio. I dubbi, la diffidenza, la rimozione, le circostanze avevano spinto sempre più Malempin bambino in una chiusa solitudine e a un rapporto privo di confidenza e sempre ambivalente con la madre anche da adulto. Malempin è pienamente  consapevole che la madre era quella che si prendeva cura dei figli, che vigilava premurosamente sulla loro  salute, che panificava gli studi coltivando ambizioni per loro, mentre il padre era superficiale ed egoista. Tuttavia si pone la terribile domanda “Allora come mai è a mia madre, ancora oggi, che mentalmente  chiedo conto di tutto? D’istinto sono i suoi atti e i suoi gesti che mi viene da passare al vaglio. Non riesco a evitare di guardarla come giudice”.

La ricostruzione accanita degli eventi della sua infanzia lo portano vicino a complesse verità sui rapporti parentali, ma anche a dubbi e a verità ormai impossibili da scoprire, tanto che a un certo punto esprime “l’intima convinzione” che   gli eventi che ha ricostruito della sua infanzia ad Arcey non sono la causa di ciò che è avvenuto in seguito “Così sono e così ero prima degli avvenimenti di Arcey”.  Ripercorre allora gli anni della scuola, come già da allora fosse impermeabile al mondo esterno, come abbia sempre preferito non fare domande alla famiglia, non sapere. E come in seguito abbia sposato sua moglie come “scegliendola da un catalogo”, come abbia creato una famiglia, un ménage che sembra ben funzionare, mettendo un “accanimento da perfezionista”nei più piccoli dettagli della loro vita: ­ nelle vacanze, nelle cene che danno periodicamente, nei vestiti, nell’arredamento della casa, nella scenografia della loro esistenza. La sua analisi si fa spietata, forse la moglie stessa avrà letto i suoi appunti lasciati incustoditi, la malattia di Bilot è giunta al decimo giorno, la fase più critica. Come accade ad  altri personaggi di Simenon un ricordo, un dettaglio, una fatale casualità, un piccolo frammento di vita possono rimettere in discussione tutto un vissuto: Malempin è a uno snodo decisivo della vita che la sorte o lui stesso dovranno risolvere.


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