Lasciamo stare per un momento il M5S, organizzatore di questa bella giornata di democrazia e partecipazione. E concentriamoci, piuttosto, sugli altri. Bastava dare un’occhiata ai nomi di coloro che hanno aderito alla piazza indetta da Conte per rendersi conto che oggi si sarebbe finalmente riunito il popolo della pace. Era dai tempi di Genova e delle manifestazioni di inizio secolo contro le guerre in Afghanistan e in Iraq che non si assisteva a un simile spettacolo. Migliaia e migliaia di persone unite in un corteo colorato e ricco di passione per chiedere giustizia, dignità e diritti: dalla sanità alla scuola, passando per il futuro delle nuove generazioni, mai come ora messo a repentaglio dai tamburi di guerra che rullano nel Vecchio Continente.
Era da Genova, ribadisco, che non si vedevano scene come quelle cui abbiamo assistito oggi alla manifestazione pentastellata. Gli ultimi fuochi di questa lotta per un’altra idea di mondo si sono avuti nel 2003, poi l’illusione, effimera, del Popolo viola, infine il silenzio. Il M5S è nato più o meno in quegli anni, fra speranze e contraddizioni, per rispondere al bisogno di comunità di un popolo deluso, sfiduciato e disincantato che ha preferito persino i Vaffa di un comico all’immobilismo della sinistra tradizionale. Da allora, ne è passato di tempo e ne son successe di cose, fino al congresso del novembre scorso, che ha incoronato Giuseppe Conte come leader aprendo una nuova fase per la politica italiana. I 5 Stelle odierni, infatti, hanno accantonato le ambiguità iniziali: non sono più “né di destra né di sinistra” ma stabilmente parte del campo progressista, schierati al fianco del centrosinistra in comuni e regioni e pronti a fare la propria parte nella costruzione di un progetto che deve avere come primo obiettivo quello di mandare a casa questa destra trumpiana. Nel frattempo, è bene ragionare su temi concreti, a cominciare, per l’appunto, dalla pace e dalla giustizia sociale, strettamente intrecciate e imprescindibili per garantire un domani alle nuove generazioni, agli ultimi, agli esclusi, ai dannati della globalizzazione e a tutte e tutti coloro che nella politica faticano a crederci ancora e a riconoscervisi. Affinché questo avvenga, è indispensabile che i partiti progressisti camminino fianco a fianco, mettendo da parte gli estremisti di tutte le fazioni, i guerrafondai, coloro che non sono in grado di lavorare insieme agli altri, gli esagitati e chi pensa che possa esistere un avvenire fuori dai due poli, inseguendo l’illusione di un fantomatico centro che non esiste nella realtà.
Barbara Spinelli, Tomaso Montanari, Alessandro Barbero e padre Alex Zanotelli, solo per citare alcuni nomi, sono personalità che non appartengono alla storia di questo o quel partito ma alla nostra vita pubblica, alla nostra coscienza collettiva e al nostro immaginario civile, così come, a suo tempo, Stefano Rodotà. Al M5S va riconosciuto il merito di aver restituito loro un palco e la possibilità di esprimersi liberamente, prendendo per mano un popolo assai più vasto del suo elettorato e ponendosi come punto di riferimento di una comunita bisognosa innanzitutto di ritrovarsi. Per questo, la giornata odierna è stata positiva, al di là dei numeri e delle consuete strumentalizzazioni. È stata positiva perché vi hanno partecipato, con pari dignità, persone che votano 5 Stelle e persone che votano altro, comprese le delegazioni dei partiti alleati che non hanno voluto far mancare la propria presenza (significativo, a tal proposito, il discorso dal palco del segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni) e la parte migliore della società civile e dell’associazionismo.
Eravamo in piazza Santi Apostoli lo scorso giugno, quando era stata Elly Schlein a convocare una manifestazione contro l’autonomia differenziata, e ci siamo stati oggi insieme a Conte, in nome di uno spirito “testardamente unitario” che ha sempre caratterizzato il nostro modo di essere e di agire.
Vien da dire, in conclusione, che ha ragione chi, all’interno del M5S, sostiene che questo partito sia un’eredità dei movimenti di Seattle e del periodo storico che abbiamo citato all’inizio. Un altro mondo è ancora possibile, ed è giunto il momento di riprendere quei temi e trasformarli in una proposta politica condivisa perché tempo da perdere non ne abbiamo più e le nuove generazioni, comunque votino, reclamano il proprio spazio, oltre alla possibilità di vivere serenamente in un’Europa ispirata alle idee dei padri fondatori e non ai deliri dell’attuale gruppo dirigente. Con Ursula e soci, difatti, l’unico futuro che ci attende è in trincea, con il rischio concreto che non ci si arrivi nemmeno perché il fungo atomico non è uno scherzo ma un incubo concreto che incombe sulle nostre teste. Pace, disarmo, diplomazia e fratellanza: queste devono essere le nostre parole d’ordine, le parole d’ordine di una sinistra rinnovata e coesa, con un pensiero rivolto a papa Francesco e al suo magistero, unica luce nella tragedia globale di questi anni.