80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Lettera a Meloni dalla trincea della scuola

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Gentile Presidente del Consiglio,

le scrivo dalla solitudine della trincea, quella in cui ogni giorno, da docenti, combattiamo, con la «fatica del concetto», un’impari guerra per formare cittadine e cittadini consapevoli e liberi. Le scrivo per esprimerle il senso di desolazione che ho provato nell’ascoltare le parole che ha pronunciato in Parlamento a proposito del Manifesto di Ventotene.  So benissimo che intendeva sollevare un polverone e distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica e mi rammarico di farmi complice del suo gioco. Ma per noi le parole (che lei usa per strappare un facile consenso) sono importanti e la loro profanazione ci offende.
Di fronte al micidiale intreccio di provocazione e superficialità con cui ha fatto un grossolano “copia e incolla” di un testo di altissimo valore politico, di fronte alla sua incapacità di interpretare un testo nel con/testo linguistico e storico da cui acquista significato, proviamo imbarazzo a somministrare ai nostri studenti le prove Invalsi sulla comprensione del testo.
Sentendola mi sono venute in mente delle foto diffuse tempo fa sui social, che  ritraevano alcuni  studenti, con il volto irriconoscibile, che esibivano in alcune scuole romane uno striscione con la scritta «ANTIFASCISMO = MAFIA».
Li ha visti quei giovani a volto coperto? Preoccupante e desolante non è il loro presunto fascismo, ma l’autoritratto che ci consegnano: ciechi, senza luce, balbettano slogan insensati e profanano la loro scuola – che  dovrebbe essere palestra di cittadinanza consapevole –  riducendola alla curva di uno stadio. Esattamente come ha fatto lei in Parlamento. Ma a guardarli bene quei giovani sono vittime del nichilismo dei professionisti della comunicazione politica che lucrano sulle loro coscienze manipolabili, nutrendole con l’odio, la menzogna, il tifo.
E non è un caso che il suo intervento in Parlamento abbia scatenato sui social dei suoi fan e anche presso i giornalisti di scuderia un nauseabondo rodeo di insensatezze: Abbiamo buttato giù l’ultimo muro rosso”, è questa la scritta che è comparsa nella “curva” dei suoi tifosi dietro lo squarcio di una parete di mattoni.   Come se il Manifesto di Ventotene fosse un testo estremista, come se Spinelli non avesse mostrato fin dagli anni Trenta un’avversione intransigente verso lo stalinismo e un dissenso verso lo stesso PCI.  E ancora: «L’Europa è nata qui, grazie alle abbazie dei benedettini, non è nata in altri luoghi dove sono stati elaborati testi con venature illiberali e antidemocratiche (sic!!)  come quello di Ventotene. E’ grazie all’iniziativa di questi monaci che esiste un’idea di Europa” (Nicola Procaccini, copresidente del gruppo dei conservatori in Europa).
Il culmine della volgarità dissacrante a cui ha dato la stura si trova in un post ributtante e sessista che ospita la foto di una donna seminuda con la scritta “ventottenne” e sotto il commento: “il nostro manifesto ha qualcosa in più che a Ventotene non avrebbero mai potuto scrivere per mancanza di capacità e allegria cerebrale. Erano comunisti – dittatura, alcol, e spie sul territorio per rompere i coglioni. Fratellanza con Urss, Unione Sovietica (sparita)”.
E’ inutile che si dissoci da questo avvilente spettacolo pubblico: l’avvio alla valanga delle banalità l’ha  dato lei, anche se con più stile.  Capisce  perché abbiamo un’infinità pietà per quei giovani che, a volto coperto, nelle nostre scuole, oltraggiano l’antifascismo collegando questa nobile parola alla mafia? Collegare “antifascismo” a “mafia” è come collegare “Ventotene” a “ventotenne”.  Rivela lo stessa povertà intellettuale.
Interrogati sulla loro identità quei ragazzi con tutta probabilità si proclamerebbero “patrioti”. Il marketing della politica (che lei maneggia con indubbia abilità) ha costruito per loro una parola d’ordine con cui tracciare una identità posticcia, svuotando quel termine della sua verità e complessità storica. Del resto oltre a lei molti potenti del mondo (Trump, Putin, Orban) si definiscono “patrioti”.  Per i nazionalisti tracciare la propria identità in opposizione al “diverso”, al “nemico”, tracciando sul suolo e nelle teste confini che  escludono e separano  è il modo più elementare per coprire un vuoto e fare branco.
E allora che fare quaggiù, in trincea? Sicuramente è necessario spiegare pazientemente che non l’antifascismo ma il fascismo è assimilabile alla mafia avendo le medesime inclinazioni criminali, così come si tratterà di leggere e spiegare con serietà il Manifesto di Ventotene, di modo che (non per polemica politica ma per rigore storiografico e  verità storica) risulterà chiara la caricatura che lei ne ha fatto e chiare appariranno le ragioni politiche e culturali per cui lei non può che avversarlo e avrebbe fatto bene a dirlo con argomenti sensati, senza farne la caricatura e offenderne la memoria.
Nel luogo della parola per eccellenza, estraendo frasi ad effetto da appunti appiccicaticci, ha estrapolato dal Manifesto una frase per presentare Spinelli e i confinati di Ventotene come dei sovversivi che  voglio abbattere la proprietà privata! Peccato che nel testo che ha omesso di leggere gli autori affermano esattamente il contrario e chiariscono che «la bussola di orientamento» per la nuova Europa non può essere la soppressione della proprietà privata dei mezzi di produzione operata dall’URSS dove la popolazione è stata «asservita» a una «ristretta classe di burocrati gestori dell’economia». Nella nuova Europa «la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio» (cioè come avviene nel totalitarismo stalinista).  Le parole di Spinelli  sono addirittura l’anticipazione dell’articolo 42 della Costituzione  – non quella sovietica, ma quella italiana, che su questo punto si ispira alla dottrina sociale della Chiesa — che stabilisce che la proprietà privata può essere limitata «allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», e addirittura di essere «espropriata per motivi di interesse generale».
A questo punto ha tirato fuori dal suo cilindro altre frasi ad effetto: “nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono essere amministrate ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente”. E ancora: “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”.  Ecco il secondo colpo di teatro: Spinelli come  pericoloso sovversivo, un antidemocratico, un teorico della dittatura del proletariato!

In realtà, se leggesse il testo si accorgerebbe che, in quelle pagine dense, analitiche e documentate, Spinelli e Rossi fanno una ricognizione critica delle sconfitte storiche della tradizione democratica e di quella comunista la cui crisi aveva spalancato le porte al fascismo e al nazismo.  La nuova Europa doveva nascere sulla base di una democrazia nuova e «rivoluzionaria» frutto del superamento del comunismo sovietico, del nazionalismo e dell’«idolo dello Stato chiuso» e fondata sull’uguaglianza e la giustizia sociale, il lavoro, la regolamentazione del mercato, l’emancipazione delle classi popolari, come solennemente avrebbe sancito l’articolo 3 della nostra Costituzione.

Con la «dittatura del partito rivoluzionario» attorno a cui «si forma la nuova vera democrazia», Spinelli utilizzando le categorie del suo tempo  (forse facendo il verso a un certo linguaggio marxista) indica  il ruolo di guida che devono avere gli europeisti e i federalisti dentro l’antifascismo (comunista, socialista, cattolico e liberale) al fine di liberarlo dal limite comune che le forze antifasciste avevano: il legame con lo stato nazionale chiuso e sovrano.  Rivoluzionaria per Spinelli era l’epoca che si stava aprendo con la distruzione dell’Europa da parte dal nazifascismo, che il vero partito “rivoluzionario” (cioè capace di interpretare l’epoca rivoluzionaria)  doveva ricostruire su nuovi basi. Non è la democrazia, ma lo Stato nazionale che Spinelli critica mettendo in guardia da una «restaurazione democratica nazionale» a cui oppone una democrazia sovranazionale e federale.
Vede, Presidente, con la sua faziosità, che tra l’altro non si addice all’alto  ruolo che ricopre, distrugge e offende la fatica preziosa degli educatori, dei docenti e degli storici. A scuola insegniamo che il Manifesto di Ventotene ha tratto ispirazione dalle formidabili Lettere politiche che il liberale Luigi Einaudi, maestro di Ernesto Rossi, aveva scritto sul “Corriere della sera”  con lo pseudonimo di  Junius, dimostrando in pagini memorabili che «il dogma della sovranità assoluta degli stati è il nemico primo e massimo dell’umanità e della pace», avendo causato due guerre mondiali. Quelle di Einaudi sono parole che sembrano scritte oggi,  guardando ai nuovi sovranisti e nazionalisti che per celebrare lo stato nazionale sovrano non solo danneggiano l’economia dei propri popoli ma finiscono sempre per difendere il suolo della nazione con il più becero razzismo: «Le barriere giovavano soltanto ad impoverire i popoli, ad inferocirli gli uni contro gli altri […] e a fare ad ognuno di essi pronunciare esclusive  scomuniche contro gli immigrati stranieri, quasi essi fossero lebbrosi e quasi il restringersi feroce di ogni popolo in se stesso potesse, invece di miseria e malcontento, creare ricchezza e potenza». (L. Einaudi, La guerra e l’unità europea).
Si tratta del liberale Luigi Einaudi, gentile Presidente del Consiglio! Un autore che dovrebbe leggere e meditare se vuole diventare una leader conservatrice e costruire una destra liberale …
Ma questo paziente lavoro di chiarificazione che facciamo in trincea non basterà. Vincerà lei: il “discorso più forte” come sostenevano gli eristi e non il “discorso più vero” come voleva Socrate, campione della democrazia e della “cura delle parole”.  Non basta combattere in trincea con le armi della cultura per far ammainare gli striscioni da stadio dei giovani che insultano l’antifascismo e che lassù, dal palazzo, condannate alla cecità.  Non basta  per restituire un volto e degli occhi  a quei giovani, per dare loro una “patria” vera, in cui essere cittadini consapevoli e non comparse di una tifoseria allestita altrove. Guardando la desolante immagine di quei giovani con gli occhi spenti mi viene da farle una domanda, forse ingenua o patetica, ma disperata:  perché con un suo twitter mille volte più potente di una lezione di storia non dice: «votatemi, ma sappiate che il fascismo è stato un crimine peggiore della mafia e l’’antifascismo è la patria di tutti»? Perché gioca con quei ragazzi a volto coperto? Perché offre loro una parola vuota – “patrioti”- , stravolgendone il senso autentico e riducendola a un suono sordo con cui custodire il nulla?  Perché non riconosce che l’Europa di Spinelli e Rossi, Einaudi e De Gasperi, Mazzini e Cattaneo e non la tragicomica “internazionale dei nazionalisti” (in cui ciascuno urla “prima gli Italiani”, “America first”, “prima gli Ungheresi”)   è quella che meglio tutela gli interessi dell’Italia?

Ha ragione ad avversare il testo dei confinati di Ventotene. E ha fatto bene a dirlo apertamente. Perché quel testo visionario che disegna gli Stati Uniti d’Europa assume come polo antagonista e da superare  proprio quell’Europa delle nazioni  propugnata dai sovranisti e dai patrioti che lei rappresenta e che dell’Europa federale di Spinelli è la negazione.  Alle patrie identitarie, cristiane, chiuse nei confini, negli egoismi e negli interessi, Spinelli oppone l’Europa federale che della patria come identità etnica e suolo è la negazione in quanto è costruzione di uno spazio sovranazionale di libertà, giustizia, laicità in cui possono trovare piena cittadinanza  anche i ventisei milioni di musulmani e un milione  e mezzo di ebrei che nella vostra Europa “cristiana” (originata dalle abbazie benedettine) sarebbero cittadini di serie B.

Dalla prigione di Ventotene, in cui Mussolini cercava di spegnere le migliori intelligenze, lo sguardo visionario di questi straordinari antifascisti, antinazionalisti ed europeisti riesce a intravedere anche voi, i futuri avversari da combattere, il peso morto della storia, il ferro vecchio del nazionalismo cieco e del sovranismo che ha generato la guerra dei trent’anni europea e che è duro a scomparire, un ferro vecchio pericoloso, dal momento che tutti i nazionalisti hanno distrutto le proprie nazioni e in nome della patria come suolo su cui tracciare confini sono stati compiuti  i peggiori misfatti del Novecento: «Tutte queste forze reazionarie, già fin da oggi, sentono che l’edificio scricchiola e cercano di salvarsi. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffate. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti. Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico».
E con identico sguardo profetico  Spinelli traccia quella che sarebbe stata la «nuova linea di divisione», delle forze politiche, al di là delle categorie novecentesche:  da una parte i “progressisti” che vogliono la costruzione di una federazione europea e dall’altra i “reazionari”, cioè voi sovranisti, coloro che faranno di tutto per mantenere lo status quo ovvero la divisione dell’Europa in Stati nazionali.

Gentile Presidente del Consiglio, lo ammetta, lei è contraria non all’Europa di Spinelli ma, all’Europa tout court alla quale si deve rassegnare solo per necessità.  Essere antieuropeista, nazionalista e sovranista all’opposizione le è servito per vincere le elezioni e diventare europeista (finta) al governo. Ne è prova il fatto che il 23 marzo 2018  ha presentato alla Camera una proposta di legge costituzionale:   «Modifiche agli articoli 11 e 117 della Costituzione, concernenti l’introduzione del principio di sovranità rispetto all’ordinamento dell’Unione europea». L’articolo 11 della Costituzione! Aveva centrato il bersaglio, signora Presidente, perché quell’articolo, che fissa il principio internazionalista rappresenta una “clausola europea” cioè la giustificazione dell’obbligo che abbiamo di trasferire poteri e competenze nazionali all’Europa,  la rinuncia giuridica alla pienezza della sovranità statuale, l’adesione «ad un ordinamento sovranazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni», l’impegno a «promuovere e favorire  le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Di qui la sua proposta di sostituire l’articolo 117, primo comma, della Costituzione ( La potestà legislativa è esercitata dallo Stato  e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali)  con il seguente: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto delle competenze a essi spettanti”.

Verrà il tempo in cui, accanto al Manifesto per un’Europa libera e unita disconoscerà  anche la Repubblica nata dalla Resistenza e dalla Costituzione del democristiano Dossetti, del comunista Togliatti e del socialista Nenni. La cosa non è sorprendente del resto: il suo governo è sostenuto da forze derivanti da partiti che non hanno partecipato al processo costituente e non si riconoscono (nella maggior parte dei casi) nella tradizione del liberalismo, del cattolicesimo democratico e del socialismo, dalla cui convergenza è nata la nostra Carta che non può che apparirle come il parto culturale del “nemico”.  Dall’affannosa ricerca di una identità culturale estranea alla Carta deriva l’inaccettabile tentativo di edulcorarla, inquinarla, piegarla a sentimenti di rivincita, fino a  farne (operazione disperata) il manifesto dei patrioti.   E’ da qui che deriva la sua avversione per il Manifesto di Ventotene che dell’europeismo dei  padri costituenti è la fonte ispiratrice. E’ da qui che deriva sua enfasi sulla parola “patria” e “nazione” che nella nostra Costituzione  sono marginali perché Mussolini le aveva profanate entrambe riducendo a gregge il suo popolo, umiliandolo  nel dover umiliare le altre patrie.  Correttamente intese quelle due parole non ci consentono di proclamare “patrioti” coloro che difendono i «sacri confini della nazione» o denunciare «la minaccia della sostituzione etnica»  quale attentato all’italianità come ha fatto in un discorso del 2017, accusando George Soros di esserne il fautore.

Quaggiù, in trincea, non ci sono studenti di destra e di sinistra, patrioti o antipatrioti, ma cittadini e cittadine da educare al patriottismo costituzionale, che implica l’amore per un’Italia che si è affrancata dall’incubo nazionalista, militarista e fascista e, rinunciando ad una sovranità chiusa,  si è aperta all’Europa, al  mondo e alle organizzazioni internazionali per costruire la pace.
E’ la nostra Costituzione, con il suo respiro sovranazionale ed europeista, la patria delle italiane e degli italiani, una dimora di libertà e uguaglianza che non ha niente a che vedere con l’”italianità” quale fatto etnico o identitario.    E diversamente da voi che guardate al passato e  cercate una rivincita nel tribunale della storia,  la Costituzione è «presbite e guarda al futuro», come ebbe a dire Piero Calamandrei e, con lo stesso sguardo visionario e lungimirante dei confinati di Ventotene, può essere la bussola per le giovani generazioni.


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