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Il re a Roma. La tv e l’Accademia: una questione di autorevolezza

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Nel Medio Evo si credeva che i re di Francia e d’Inghilterra avessero la virtù divina di guarire le scrofole, una forma di tubercolosi extrapolmonare assai diffusa tra i poveri, con l’imposizione delle mani: “Le roi te touche, Dieu te guérit” così recitava la benedizione pronunciata dal re, “il re ti tocca, Dio ti guarisce”.

Una credenza peraltro assai longeva: il rito dell’imposizione delle mani, risalente a Marculfo (un santo del VI secolo), fu celebrato per l’ultima volta nel maggio 1825 a Reims, come cerimonia a margine dell’incoronazione di re Carlo X di Borbone.

Lo spiegò giusto cent’anni fa il grande storico francese Marc Bloch, che nel 1924 pubblicò “Les Rois thaumaturges. Étude sur le caractère surnaturel attribué à la puissance royale particulièrement en France et en Angleterre” (“I re taumaturghi. Studio sul carattere soprannaturale attribuito al potere reale, in particolare in Francia e in Inghilterra”), un testo molto suggestivo, tuttora letto, amato e studiato nelle università di tutto il mondo.

Ma veniamo ai nostri giorni, quelli dell’arrivo a Roma di Re Carlo III Windsor, ennesima testa coronata discendente dalla Regina Vittoria, e di sua moglie Camilla Shand, regina consorte.

La visita dei reali inglesi ha vissuto un momento  davvero molto significativo: non sono stati accolti, nella passeggiata tra i Fori Imperiali di Roma, da un principe, da un marchese o da un qualsiasi altro titolato aristocratico. A mostrare loro la vetusta bellezza della città eterna è stata una celebrità televisiva, Alberto Angela, nato a Parigi dal compianto Piero, nipote di Carlo (medico antifascista) e pronipote di contadini piemontesi.

Un evento dal carattere simbolicamente democratico che forse compensa la perplessità suscitata dalla scelta – di cui ignoriamo la paternità – di attribuire il ruolo di guida dei reali a una stimatissima celebrità della divulgazione televisiva e non a un accademico, uno storico dell’arte o dell’archeologia.

Eppure, proprio a Roma, sorge l’università La Sapienza, l’ateneo che – secondo le valutazioni internazionali (https://forbes.it/2025/03/12/la-classifica-delle-migliori-universita-al-mondo-la-sapienza-prima-per-studi-classici/) – ospita la più prestigiosa scuola di studi classici del pianeta. Non possono certo mancarvi figure adeguate a prender parte all’evento ufficiale.

C’è da chiedersi perché l’Accademia o la Sovrintendenza archeologica non siano state considerate adatte a esprimere un’ospitalità forbita e garbata come quella effettivamente offerta dal noto conduttore televisivo che, peraltro, si è formato come paleontologo. (D’accordo, i reali non sono più giovanissimi, ma avrebbero potuto anche offendersi).

Viene quindi il dubbio che la scelta compiuta,  certamente rispettabile, risponda alla tipica diffidenza verso la cultura “alta”, che una certa tradizione politica, figlia legittima del berlusconismo televisivo, ha sempre mostrato. L’evidente imbarazzo prossemico del ministro Alessandro Giuli, caracollante nei Fori (https://youtu.be/ag0uO1Z_2wE) a fianco del terzetto composto da Carlo, Camilla e Alberto, è forse l’aspetto più rivelatore dell’intero episodio.

Chissà se alla fine re Carlo, dall’altro dell’antica tradizione che incarna, ha trovato il modo e il tempo, in privato, per imporre le mani sul capo di Alberto e Alessandro, recitando per entrambi l’antica formula: “Le roi te touche, Dieu te guérit”.

Non si tratta di scrofola, oggigiorno, ma di un’altra malattia. Forse più grave di quella.

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