Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva, sosteneva Michela Murgia. Vale per le intellettuali, per le giornaliste, per le politiche: tutti soggetti imprevisti, per dirla con Carla Lonzi, che dovrebbero continuare a starsene a casa. Le donne che scelgono di impegnarsi in politica — sempre troppo poche, se pensiamo che le donne sono il 51,2% della popolazione italiana e quelle che guidano i Comuni solo il 16,6%, quelle che siedono in Parlamento il 31%, mentre quelle a capo di una Regione 2 su 20 — non solo devono fare le equilibriste per conciliare lavoro, politica e famiglia, considerando che nel nostro Paese il carico della cura ricade ancora per il 74% sulle donne, e farsi spazio in un mondo maschilista, ma anche mettere in conto che specie a livello locale, qualsiasi sia lo schieramento di appartenenza, le elette a cariche amministrative a iniziare da quella di sindaco, rischiano tre volte più dei colleghi maschi di subire violenza fisica, verbale e digitale. Lo afferma lo studio Attacking women or their policies? Understanding violence against women in politics, condotto da Gemma Dipoppa, assistant professor alla Brown University Usa (con Gianmarco Daniele e Massimo Pulejo dell’Università di Milano): i ricercatori hanno indagato le cause delle aggressioni, dimostrando che l’odio colpisce le rappresentanti politiche non per ciò che fanno o non fanno nei loro ruoli di potere, ma per il semplice fatto di appartenere al genere femminile.
Lo scopo degli odiatori è sempre quello di rimettere la donna al suo posto, ovvero nella sfera privata. Ne sta facendo le spese Stefania Proietti, presidente della Regione Umbria dal 2 dicembre 2024, prima sindaca di Assisi dal 2016 al 2024, di professione ingegnera meccanica, che nelle scorse settimane ha subito attacchi violentissimi, che ha scelto di rendere pubblici. Ma è di questi giorni anche l’ennesima denuncia di Emily Clancy, vicesindaca di Bologna, al centro di una violentissima campagna d’odio da parte del movimento dei padri separati. Entrambe attaccate con “argomenti”, se così si può dire, sessisti (leggere e ascoltare per credere) e non nel merito delle loro scelte politiche, sono costrette a operare in un clima ostile, un’ostilità che spesso come nel caso di Proietti e Clancy si traduce in vera e propria violenza, che in generale scoraggia la partecipazione delle donne portandole a non ricandidarsi o ad assumere un basso profilo, che non solo lascia ulteriore spazio agli uomini, che già (per comodità e consuetudine) ne hanno molto di più (i dati di presenza sui media di uomini e donne oltre alle percentuali già citate lo confermano), ma ciò che è ancora più grave oscura risultati e competenze, che sono o dovrebbero essere i criteri in mano all’elettorato per scegliere le persone più adatte a rappresentarli.
La presidente Proietti, la cui colpa è quella di aver svelato un buco di bilancio che costringe la Regione Umbria a usare le risorse del fondo sanitario per ripianare il buco anziché per erogare servizi ai cittadini, ospite lunedì 14 aprile di Articolo 21, ha dichiarato di essersi decisa a denunciare pensando in particolar modo alle ragazze e alle donne più giovani, quelle che magari stanno considerando di avvicinarsi alla cosa pubblica e di impegnarsi in politica e nei confronti delle quali un trattamento di questo tipo risulta respingente, così come già avvenuto in molte altre situazioni, mentre sappiamo quanto sono importanti i modelli per cambiare l’immaginario, che è poi il luogo come direbbe Rebecca Solnit dove avviene la rivoluzione. A questo proposito fa bene ricordare, soprattutto in questi giorni amari, alcuni episodi che Proietti raccontava in veste di prima cittadina assisana, di quando andava nelle scuole e al termine dell’incontro alcune bambine le si avvicinavano per dirle che da grandi avrebbero voluto fare la sindaca come lei, a dimostrazione che è proprio vero che non possiamo realizzare ciò che non riusciamo a immaginare ed è necessario allenare la capacità di pensare il mondo che ancora non c’è. Un mondo dove le donne non siano persone o cittadine di serie B, insultate e denigrate solo per il fatto di essere donne, dove ci sia spazio per tutte e per tutti, dove nascere femmina non significhi partire con uno svantaggio assai faticoso da recuperare. Finché i bambini e le bambine vedranno solo un mondo governato e abitato da maschi, sarà difficile che le bambine possano proiettarsi nel futuro immaginandosi sindache o scienziate o intellettuali: per questo Proietti, che durante il suo mandato da sindaca ha ad esempio spesso scelto di portare con sé in occasione di eventi pubblici i suoi figli per dimostrare che maternità e impegno politico non sono un binomio impossibile e per dire alle ragazze e alle donne che possono farlo anche loro, ha fatto bene a denunciare e a rendere pubbliche le parole d’odio che hanno alimentato la macchina del fango degli ultimi giorni. Perché come ha detto papa Francesco le parole «non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani. Possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra».