Nei “giorni dei dazi” produce effetti inquietanti la lettura della Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune che, nella sua qualità di documento d’indirizzo politico, “accoglie con grande favore il Libro bianco congiunto sulla prontezza europea alla difesa per il 2030” e “propone una tabella di marcia solida e ambiziosa per rafforzare la sicurezza dell’Europa” al fine “di dissuadere gli aggressori e difendersi su tutti i fronti, di assumere la leadership e agire rapidamente sulle questioni di sicurezza, nonché di produrre materiali di difesa per rispondere alle proprie esigenze”. La riflessione qui proposta non entra nel merito delle strategie ma riguarda il linguaggio, il cambio di postura rispetto al percorso di costruzione europea finora seguito. Si può allora leggere anche in questa ottica la plateale presa di distanza della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni dal Manifesto di Ventotene: un prodromo forse necessario per poter accogliere “con favore il piano ReArm Europe in cinque punti proposto il 4 marzo 2025 dalla presidente della Commissione”.
La stessa Risoluzione del Parlamento europeo indica con estrema chiarezza che la “difesa” non va intesa esclusivamente contro le minacce più incombenti, provenienti da Russia e Cina, ma pure dalle minacce ibride presenti su tutto lo scacchiere mondiale: dall’Africa al Medio Oriente; fino all’Estremo Oriente, agli oceani, all’Artico… Il tutto declinato in totale assenza di una analisi del quadro storico, politico globale che ha condotto a questa situazione la cui soluzione, stando sempre al documento, pare individuabile esclusivamente nel rafforzamento degli armamenti dei singoli stati europei, unitamente alla vagamente dichiarata volontà di accordi per la difesa degli interessi comuni e della democrazia, minacciata anche mediante l’uso spregiudicato della tecnologia. Uno spazio residuale viene riservato alla attività diplomatica, in carenza di una vera riflessione sui concetti di democrazia e sui diritti umani, ormai declinabili a geometrie variabili ed esportabili o rinviabili a seconda degli interessi del momento, anche all’interno della stessa UE.
Questo documento impone, inoltre, alcuni inderogabili interrogativi: quale leadership europea è abilitata a intraprendere un simile percorso economico-militare, che potrebbe non coincidere con l’ambito NATO dopo i cambi di posizione delle politiche USA e alla luce dei contrasti con la Turchia sulla questione cipriota? E ancora: il rischio di essere “risucchiati”, nelle logiche “spartitorie” delle altre grandi potenze è esorcizzabile con un vero sistema europeo di difesa oppure solo mediante questo generico riarmo per singole nazioni che potrebbe provocare pesanti squilibri futuri all’interno della stessa Unione? Basterà, in altri termini, improvvisare intese emergenziali con attori “volonterosi” frettolosamente racimolati, Gran Bretagna in primis? E, comunque, il massiccio riarmo europeo, a ranghi sparsi, che ripercussioni avrà sul resto del mondo? È da prevedere (auspicare) un analogo atteggiamento da parte di Giappone, Australia, Brasile, Argentina…? Con quali conseguenze sugli equilibri bellici, demografici e dell’ecosistema? Infine è d’obbligo chiedersi se esista, sopravviva, in questo nuovo contesto, qualche speranza di costruzione politica europea, non tanto secondo lo spirito di Ventotene ormai bellamente sepolto, ma almeno secondo i percorsi tracciati dai vari Adenauer, De Gasperi, Schuman, Delors e perfino dalla mite Angela Merkel. La prima sensazione è che si stia consumando una “rottura” definitiva e irta di incognite.