80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Achille Campanile, il rivoluzionario della parola

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Compagnia Godot di Bisegna-Bonaccorso.
Maison Godot, Ragusa.
“Campane a festa”, di Federica Bisegna.
Costumi di Federica Bisegna.
Scene e regia di Vittorio Bonaccorso.
Con Federica Bisegna, Vittorio Bonaccorso, Lorenzo Pluchino, Benedetta D’Amato, Alessandra Lelii, Rossella Colucci, Anna Pacini, Angelo Lo Destro, Rita Scrofani, Mattia Zecchin

Dopo Kafka e Strindberg, un’altra scelta coraggiosa della Compagnia Godot di Ragusa, Achille Campanile. Certamente, autore divertente, ironico ed arguto, ma non solo questo. Dietro i suoi irresistibili giochi di parole e clamorosi scioglilingua, si nascondeva un animo antiborghese e surrealista, come aveva capito fin da subito Luigi Pirandello, sotto la cui ala protettrice egli crebbe, e come avrebbe sottolineato più tardi un grande critico letterario come Carlo Bo. Da Totò (fu autore del copione del film più dadaista del grande artista napoletano, “Animali pazzi”, di Carlo Ludovico Bragaglia,1937), a Tino Scotti, molti furono i comici e i commediografi, compreso il Nobel Dario Fo, che si ispirarono, nei modi più diversi a questo grande innovatore della lingua italiana. Non è un caso che Bonaccorso, anche stavolta impeccabile interprete e metteur en scene, e Bisegna, anch’essa straordinaria interprete e autrice della riduzione, siano arrivati a Campanile, da molti accostato ai loro amati Ionesco e Beckett. Insomma ridere e sorridere non impedisce di inoltrarsi nelle ragioni più recondite di quelle succitate grandi correnti europee di ribellione epistemologica, compreso il futurismo dello splendido fondale dello spettacolo, che tanto hanno contribuito all’evoluzione del linguaggio in funzione catartica e persino “politicamente” rivoluzionaria. Da elogiare tutta la Compagnia Godot, pronta ad assecondare un ritmo non facile da reggere, necessario ad evidenziare la sostanza di un autore che ha fatto della parola lo strumento consapevole per comunicare anche l’incomunicabile, ad un pubblico che rischiava di assuefarsi al linguaggio aulico e sterile imposto, in quel periodo, dal regime fascista.

Alla fine, interminabili gli applausi per tutti gli interpreti, indistintamente.

 


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