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Turchia, giornalisti sotto assedio durante le proteste per İmamoğlu: la denuncia dei sindacati

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I sindacati della stampa accusano: “Violenza sistematica contro chi documenta. La libertà d’informazione è sotto assedio”.

Mentre le piazze turche si infiammano per l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, i giornalisti finiscono nel mirino. E’ la denuncia dei principali sindacati della categoria: giornalisti e reporter chiaramente identificabili sono stati aggrediti dalla polizia durante le manifestazioni scoppiate dopo il blitz del 19 marzo. Il Sindacato dei Giornalisti della Turchia (TGS) e il Sindacato dei Lavoratori della Stampa (DİSK Basın-İş) hanno diffuso dichiarazioni convergenti: giornalisti picchiati, colpiti con proiettili di gomma, la loro attrezzatura distrutta dalle forze di polizia.

Ma il TGS non ci sta: “Abituatevi: ovunque ci siano notizie, noi ci saremo”. Ancora più netta la posizione di DİSK Basın-İş: “Attaccare chi fa informazione è un crimine contro l’umanità. Gli agenti che usano violenza o impediscono il lavoro giornalistico devono essere identificati e perseguiti senza indugio”. Tra i reporter colpiti risultano professionisti di testate nazionali e internazionali: Hakan Akgün dell’Anadolu, Yasin Akgül dell’AFP, Dilara Şenkaya della Reuters, Ali Dinç  di Bianet, Eylül Deniz Yaşar di İlke TV, Kemal Aslan (giornalista freelance), Serkan Okur  di Akit TV, Rojda Altıntaş (giornalista freelance) e Yusuf Çelik di Özgür Gelecek.

L’arresto di İmamoğlu e di oltre 100 funzionari comunali è arrivato a pochi giorni dalla sua possibile candidatura ufficiale alla presidenza per il Partito Popolare Repubblicano (CHP). Due le indagini in corso: una per presunti legami con il terrorismo, l’altra per corruzione. Secondo la procura, la collaborazione elettorale tra il CHP e il partito filo-curdo DEM sarebbe stata orchestrata dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Le autorità citano le dichiarazioni di leader del PKK che invitavano alla cooperazione con l’opposizione. L’inchiesta ha preso piede a gennaio con l’arresto del sindaco di Esenyurt e ora coinvolge direttamente anche İmamoğlu. Parallelamente, 100 persone sono indagate per reati economici, tra cui appropriazione indebita, frode e manipolazione di gare d’appalto. Il sindaco sarebbe, secondo l’accusa, a capo di una vera e propria organizzazione criminale. Il CHP ha respinto ogni accusa, definendo le operazioni un vero “colpo di Stato giudiziario” contro un rappresentante democraticamente eletto. E ha chiamato i cittadini alla mobilitazione.

Le manifestazioni, in gran parte pacifiche, hanno attraversato Istanbul e molte altre città, coinvolgendo anche università e movimenti studenteschi. Ma la risposta delle autorità è stata sproporzionata. Oltre agli scontri in piazza e agli arresti, si segnalano perquisizioni domiciliari, rallentamenti nella rete Internet – bloccata per quasi due giorni – e una stretta sulla libertà di espressione online: account social legati a gruppi studenteschi e di sinistra sono stati oscurati, e diversi utenti sono finiti in custodia cautelare per post ritenuti “sovversivi”. In questo clima, i giornalisti sono diventati testimoni oltremodo scomodi. Documentano le proteste, raccontano la repressione, danno voce al dissenso. E questo per il regime non va bene, dunque vengono presi di mira. I sindacati lanciano un segnale chiaro: colpire chi informa equivale a silenziare la democrazia.


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