80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Rai, ciò che resta del giorno (lottizzato)

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Parlare di lottizzazione alla e nella Rai può apparire un noioso esercizio retorico, pieno di omissioni e di fariseismi. Noioso lo sarebbe davvero, se non fosse che questa volta è diverso. Non si tratta di una mera spartizione di ruoli, pur essendolo all’ennesima potenza, bensì di una sorta di de profundis per un’azienda sempre più marginale nell’età dell’infosfera. Insomma, per usare un paragone calcistico, il servizio pubblico -se va bene- è in serie B. La A è ormai occupata con prepotente cattiveria dagli Over The Top -capeggiati da Elon Musk e intrigati con il nuovo clima dittatoriale d’oltre oceano- e persino le ex forti compagnie di telecomunicazioni arrancano. Non solo.

L’avvento delle trasmissioni digitali ha ampliato utilmente il numero dei canali e ora il telecomando offre navigazioni solo vent’anni fa premature. La7, in sinergia con il Corriere della Sera, aumenta ascolti e share, mentre la Nove costituisce forse la maggiore sorpresa. Mediaset è fuori da ogni serie, essendo una costola (magari talvolta un po’ irrispettosa) della maggioranza e del governo. Conflitto di interessi, amen. Ma la Rai, al contrario, dall’essere un’articolazione di Palazzo Chigi ha solo enormi svantaggi.

Quindi, se nella geopolitica post-mediale l’ex monopolio sta sui bordi di confine con un’assenza di strategia che lo rende assai vulnerabile, nella quotidianità appare via via un megafono del pensiero omologato. Unica salvezza rimangono le trasmissioni di Rai cultura (e pure lì arriva la scure), le fiction almeno in parte e le Teche condannate anch’esse alla soggezione a chi comanda. Inoltre, da tempo la Commissione parlamentare di vigilanza è bloccata dall’ostruzionismo di una maggioranza testardamente bloccata sul nome di Simona Agnes come presidente, a dispetto dei santi.

La riforma, oggetto di un numero di convegni inversamente proporzionale alla loro utilità fattuale è una chimera. Di qui deriva il pericolo principale, che potrebbe portare l’Italia sul banco degli imputati in Europa, per la sfacciata inosservanza dell’European Media Freedom Act (Emfa), il cui articolo 5 -attinente proprio all’autonomia e all’indipendenza- entrerà in vigore il prossimo 8 agosto. Insomma, senza una nuova legge la Rai presto sarà fuorilegge. La Commissione europea ci metterà, ovviamente, qualche tempo a decidere un procedimento di infrazione. Tuttavia, proprio la tempistica è micidiale.

Nel 2027 scadrà la Convenzione con lo Stato e un apparato in simili condizioni correrà il concreto pericolo di divenire territorio di caccia per tentazioni oggi appena sussurrate, da anni sotto il tappeto. Parliamo di pezzi da privatizzare, per la goduria di uno dei grandi player evocati bisognosi di un affaccio sulla comunicazione generalista; e intendiamo pure la non sopita volontà della Lega di realizzare la secessione dei ricchi dell’Autonomia differenziata proprio disarticolando la Rai attraverso Convenzioni regionali. Del resto, parrebbe che alla regia delle ultime manovre vi sia il consigliere anziano facente funzione di presidente Antonio Marano, in grado di piazzare figure non così note e tuttavia all’assalto della Cultura e delle Teche: ciò che mantiene accesa la fiaccola del servizio pubblico. A ben leggere, infatti, gli organigrammi derivati dalle trattative extra-istituzionali è proprio la Lega a risultare avvantaggiata.

In ogni caso, cadono ulteriori casematte, a cominciare dalla radio, destinata ad essere definitivamente la voce del Padrone. Il rispetto delle differenze di genere, con tutta l’enfasi sulla prima donna a Palazzo Chigi, va rapidamente in soffitta. Non per caso nei Rapporti europei l’Italia (l’ultimo il Civil Linerties Union For Europe (di cui ha scritto il manifesto di ieri) è spesso la maglia nera. Uno dei punti negativi riguarda la libertà di informazione. Oggi dovrebbero arrivare i curricula ai consiglieri e domani si terrà la riunione formale del consiglio. Come minimo, chi si riferisce alle forze di opposizione sarebbe utile che desse un segnale inequivoco. E gli stessi partiti progressisti sono chiamati a svegliarsi, con una manifestazione forte e unitaria.


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