Nel maggio dello scorso anno abbiamo concluso il progetto “Una Stella di nome Ilaria Alpi”: la stella ia_v1 scoperta dal MarSec Marana Space Explorer Center e che si trova nel gruppo delle pleiadi, costellazione del toro. La luce della Stella Ilaria ci ha accompagnato in tutti questi anni, accanto a Luciana e Giorgio; non smetterà di illuminare ancora la sua vita, per avere giustizia per la sua tragica uccisione insieme a Miran Hrovatin il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Nella solennità della Camera dei Deputati abbiamo auspicato che si riaprisse l’inchiesta, ferma dalla morte di Luciana il 12 giugno 2018; Giorgio ci aveva lasciati nel pomeriggio di domenica 11 luglio 2010. Non so se sia il primo raggio di Stella che Ilaria ci ha fatto arrivare: la novità è la sentenza emessa in nome del popolo italiano dalla I Sezione civile della Corte d’appello di Roma del 18 febbraio 2025. Si tratta di una sentenza che respinge in toto l’appello di Giancarlo Marocchino contro la sentenza del 2020. Marocchino aveva querelato Ferdinando Vicentini Orgnani e tutti coloro che avevano collaborato al film ILARIA ALPI, Il più crudele dei giorni, uscito nelle sale nel 2003. Chiedeva di ritirare immediatamente il film e di vietare la vendita dei DVD perchè un film lesivo della sua persona indicata come trafficante di armi, faccendiere e coinvolto nell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin al fine di coprire i suoi traffici illeciti … La sentenza citata n° 7308 18.05.2020 respinse le richieste presentando anche alcuni documenti che avvaloravano le denunce nei confronti di Marocchino: uno dei 26 punti che il Pm Emanuele Cersosimo chiese di approfondire, respinta la prima richiesta di archiviazione nel 2007 presentata dal dottor Franco Ionta. Una informativa della Questura di Roma del 3.2.1995 indicava Marocchino insieme ad altri, come mandante del duplice omicidio e coinvolto in traffico di armi in favore di Ali Mhadi. In un’altra informativa, del SISDE in data 3.9.1997, leggiamo considerazioni analoghe. Ecco il dispositivo finale della sentenza 2025:
“La Corte d’appello di Roma, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione respinta, sull’appello proposto da Giancarlo Marocchino, avverso la sentenza del 2020 così provvede: rigetta l’appello, condanna l’appellante alla rifusione in favore delle parti appellate costituite, delle spese complessivamente del grado e che liquida in 12mila euro per ciascuna parte oltre all’IVA, CPA, spese generali al 15% e la ricorrenza a carico dell’appellante. Così deciso in Roma 17.02.2025”.
Nella querela contro il film, Marocchino indicò, a sua difesa, la relazione conclusiva, di maggioranza, firmata da Carlo Taormina presidente della commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria 2004/2006, sostenendo altresì che nessuno lo ha mai indagato. Questo è vero, incredibile ma vero, se si pensa che Marocchino è stato l’unico italiano a recarsi sul luogo del duplice delitto, quel tragico 20 marzo 1994, e a dirigere il da farsi: le immagini le abbiamo viste tutti, dolorosamente. Si tratta di un faccendiere, personaggio torbido del quale si sa molto ma non ancora tutto. In Somalia tutti – giornalisti, servizi, militari, ong, anche alcune istituzioni- hanno potuto contare su di lui, come collaboratore e non solo.
La prima audizione di Marocchino (novembre 2004), viene interrotta quasi subito: il presidente Taormina informa i commissari che Marocchino ha accettato di collaborare con la Commissione. Un funzionario di polizia è incaricato altresì di stare a fianco di Marocchino e di arrivare con lui a svelare cosa è successo davvero in Somalia. Una coppia perfetta che si darà molto da fare e porterà l’avvocato Taormina a chiudere il caso nel luglio del 2005 con una intervista a Nigrizia in cui sosterrà che non c’è stata nessuna esecuzione il 20 marzo, ma un tentativo di rapina o di sequestro finito male; nessun mistero su quelle morti, nessuna indagine scottante Ilaria e Miran stavano facendo a Bosaso, nessun ipotetico traffico di armi o di rifiuti tossici. Il caso è chiuso. E conclude:”Inoltre, in quei giorni, Ilaria Alpi tutto faceva meno che indagini giornalistiche perchè stava a Bosaso, insieme al suo cameramen, al mare a prendere un po’ di sole”.
Parole incommentabili. Oltre che offensive e calunniose. Invece noi ormai sappiamo: che le missioni di Ilaria, 7 in poco più di un anno non sono casuali ma legate al suo modo di lavorare: studiare conoscere immaginare capire verificare raccontare. E soprattutto intrecciare quanto accadeva in Italia e quanto in Somalia: una intuizione feconda perchè le storie tragiche erano in qualche modo collegate, come spesso abbiamo raccontato, essendo la Somalia la nostra “ventunesima regione” e non solo.
La settima missione, che le sarà fatale, avverrà dopo cinque mesi dalla sesta (11-24 ottobre 1993). Perchè un tempo così lungo? Di certo voleva mettere insieme tutte le cose che aveva individuato nel suo lavoro, in Somalia e in Italia, andare a verificare i possibili collegamenti, di traffici di armi e altro, con la ex Jugoslavia, lacerata da una sanguinosa guerra che trovò una immane tragedia proprio nei primi mesi del 1994: ricordiamo l’uccisione a Mostar, il 28 gennaio 1994, di Marco Lucchetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo, della sede Rai di Trieste. Quando Ilaria parte l’11 marzo da Pisa per Mogadiscio, insieme a Miran per la prima volta, sono da poco rientrati dalla ex Jugoslavia appunto: lo hanno sempre confermato anche Luciana e Giorgio Alpi, alcuni block notes rubati non consentono di stabilire la data esatta, ma ci sono le cassette girate da Miran che confermano. Il loro ultimo viaggio sarà concitato, veloce nel suo sviluppo e non comunicato dall’inizio nei dettagli degli spostamenti, come è verificabile nel racconto degli ultimi giorni di Ilaria e Miran.
Era in grado Ilaria, dopo sei missioni, di concludere il suo lavoro sui famosi “peccati capitali” raccontati da Ettore Masina nel dossier Somalia, noto a Ilaria fin dal gennaio 1991, data di pubblicazione dello stesso e forse anche da prima, dalla voce diretta di Masina. Si parla della strada Garoe Bosaso (che Ilaria e Miran andranno a filmare il 15 marzo 1994) e della flottiglia di pescherecci della Shifco donati dall’Italia alla Somalia di Siad Barre, di Mugne e del porto di Bosaso, del sultano/Bogor Abdullahi Bimoussa.
Si tratta di nomi che rintracciamo nel block notes di Ilaria ritrovato o, come quello custodito nel suo studio, a Saxa Rubra, insieme con l’annotazione più conosciuta: 1.400 miliardi di lire, dov’è finita questa impressionante mole di denaro?
10 aprile 1991 Livorno: La tragedia del Moby Prince e la nave madre della Shifco 21 October2 “Linea di confine” della scorsa settimana ne ha parlato, mostrando anche Ilaria Alpi. Abbiamo già ricordato la tragedia del Moby Prince perchè, in quei giorni, la nave madre della SHIFCO, la 21 October2, era lì così come i suoi capi, Omar Mugne e il suo vice. Ilaria si stava già occupando della Somalia perchè il 26 gennaio 1991 Siad Barre era stato messo in fuga ed era iniziata una violenta guerra civile tra i “signori della guerra” con massacri di donne e bambini già provati da violenze, fame, malattie. Ilaria potrebbe essere andata a Livorno per verificare l’accaduto, visto che per quella tragedia, 140 morti e un solo superstite, si era parlato, fin dai primi momenti, di movimentazione di navi cariche di materiale bellico mentre era già in corso la guerra nella ex Jugoslavia. Si legge, anche nella relazione della commissione d’inchiesta (2017/2018) sulla strage: la vicinanza con la base USA Camp Darby, in piena crisi del golfo, potrebbe essere la ragione “della presenza di almeno 5 navi militarizzate USA quella sera … E ce ne sarebbero almeno altre due: la 21 October II di sicuro, e una nave fantasma, “Teresa”. Ilaria poteva conoscere la 21 October2.
In Italia il parlamento sciolto il 16 gennaio 1994, dopo le stragi mafiose e sull’onda di tangentopoli non solo italiana, istituisce la commissione bicamerale d’inchiesta sulla cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Sarà istituita subito dopo le elezioni del 27 marzo 1994 e lavorerà fino allo scioglimento delle camere nel 1996.
In Somalia dopo la fuga di Siad Barre ci vorrà più di un anno perchè si organizzi una missione internazionale denominata “Restore Hope”, a guida USA a cui l’Italia aderisce insieme ad altri 26 Paesi. Fin dalla prima missione Ilaria lavora sulle conoscenze che già possiede. E quando parte, attorno a Natale 1992, ha già in mente quali sono gli itinerari della sua inchiesta: traffici illeciti di armi e altro, “contigui” con la ricca cooperazione bilaterale e multilaterale con la Somalia. Prova ne sono i suoi appunti: strada Garoe Bosaso; Shifco società di navigazione, Mugne, sultano Bogor Abdullahi BiMoussa, Farah Omar Viareggio – che forse confonde con Livorno. Stiamo mettendo in fila quanto doveva essere valutato nella sua interezza e non come abbiamo dovuto fare: pezzo per pezzo, interrogatorio per interrogatorio degli inquirenti, magistrati e commissioni d’inchiesta; documenti prima spariti e poi riapparsi, molti dei quali con scritto “segreto” e “tolto il segreto a gocce con sbianchettature!”, nelle parti più interessanti!
Questa la tecnica: appena qualcuno scopriva qualche cosa che poteva avvicinare alla verità, c’era chi alzava un gran polverone per depistare e insabbiare: pensiamo all’estate del 1997, una fitta trama per la costruzione del capro espiatorio Hashi Omar Assan (si toglie il caso al dottor Pititto che aveva dato una svolta all’inchiesta, scoppia il caso delle violenze presunte di militari italiani nei confronti di donne e uomini somali, spunta perfino una specie di diario/memoriale di un maresciallo dei carabinieri che viene subito segretato dalla Procura militare …).. Il depistaggio riuscirà come sappiamo: Hashi condannato definitivamente a 26 anni di carcere, innocente, nel 2000, scarcerato dopo 17 anni dal Tribunale di Perugia, fu assassinato a Mogadiscio con una bomba piazzata sotto la sua macchina il 6 giugno 2022 (e non sarà il primo a essere assassinato in questa storia: l’elenco è lungo). Utile e necessario partire dalla motivazione della sentenza del tribunale di Perugia che, pubblicata il 12 gennaio 2017, si conclude con due punti importanti: “Deve revocarsi la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Roma ….nei confronti di Hashi Omar Hassan, con conseguente assoluzione del predetto reato ascrittogli per non aver commesso il fatto. …indipendentemente da chi fosse stato l’effettivo ‘suggeritore’ della versione dei fatti da fornire alla polizia …il soggetto Ahmed Alì Rage detto Jelle, dichiarando il falso, potrebbe essere stato coinvolto in un’attività di depistaggio di ampia portata…” (che ha coinvolto altri, ovviamente, e non solo per questa vicenda e da subito, il 20 marzo 1994).
Approfondire le 7 missioni, in particolare la settima a Bosaso è importante.
Hanno occultato, per molto tempo, anche l’allarme partito il 15 marzo da casa di Marocchino, durante una festa di compleanno con giornalisti e militari, autorità varie: c’erano tutti. Di questo allarme verremo a conoscenza, dopo informative di diverse fonti di intelligence che annunciavano un attentato a giornalisti, deciso in un incontro con persone oggi ben note. Tutti o quasi i giornalisti italiani lasciarono Mogadiscio dopo l’allarme di Marocchino, qualcuno, suo ospite, invece arrivò il 19 marzo. Ilaria e Miran non furono avvisati, erano a Bosaso da dove dovevano ripartire la mattina del 16 marzo.
Non prenderanno mai quell’aereo “particolare” non perchè lo “persero” ma perchè “trattenuti se pur per breve tempo da esponenti di clan locali” (fonte Farnesina 22 marzo 1994) e anche “minacciati di morte…” (fonte. Informativa del SiSmi frmata da Alfredo Tedesco – c’era stato il tentativo di cancellare queste minacce!).
Lo strazio e il dolore di Luciana e Giorgio non impedisce loro di capire che qualcosa non va fin dall’arrivo dei corpi a Ciampino: non c’è nessuna autorità all’arrivo delle bare a Ciampino nella notte 21/22 marzo; i bagagli sono stati già violati e ancora ci sarà chi ci mette le mani per recuperare le cassette e forse altro (sei, dirà Bonavolontà anche se erano 10 almeno; quattro erano relative al viaggio nella ex Jugoslavia di Ilaria e Miran circa un mese prima).
Il trasbordo del cadavere dalla bara di alluminio a quella di legno avviene sempre senza il magistrato o altre autorità e senza la famiglia … altri dettagli sono davvero macabri. Non sarà eseguita l’autopsia ma un esame esterno:” si tratta di ferita penetrante al capo da colpo d’arma da fuoco a proiettile unico sparato a contatto con il capo…” come scrive il dottor Giulio Sacchetti. La perizia balistica invece sosterrà già che si è sparato da lontano forse con un kalashnikov.
Da qui prosegue il depistaggio esteso, in varie forme ad opera di molti soggetti: a partire da chi era presente a Mogadiscio e poi si è occupato qui e là di occultare il certificato di morte stilato sulla nave Garibaldi e altro. L’obiettivo è falsificare, costruire da subito la storia del proiettile unico sparato da lontano che colpisce prima Miran e poi Ilaria, proprio come scritto nei due documenti di Unosom, negare che l’inchiesta di Ilaria fosse la causa della sua uccisione insieme a Miran, come tutte le sentenze confermano. Carte false come l’invenzione che Ilaria andò a Bosaso per caso, versione sostenuta anche da non pochi suoi colleghi. Invece la verità è che Bosaso era la tappa conclusiva della sua inchiesta e ci volle andare subito, appena giunta a Mogadiscio per l’ultima volta: 1. per verificare quanto aveva già accertato sui due peccati capitali della cooperazione “la Shifco i pescherecci e Mugne, 2. per intervistare il sultano chiedendo di poter salire sul peschereccio sequestrato, la Farah Omar; 3. per controllare la strada Garoe Bosaso” e poi tornare subito a Mogadiscio, il 16 marzo ,per mettere insieme “le cose grosse” come aveva annunciato alla Rai.
Per questo, minacciata di morte e sequestrata per poco tempo, le hanno fatto perdere l’aereo prenotato.
Mentre Ilaria è in Italia, in ottobre 1993, anche Marocchino lo è: contatta Ilaria per un’intervista che Ilaria rifiuta, sapendo del suo arresto da Unosom e della liberazione avvenuta per un intervento italiano come ci hanno raccontato Luciana e Giorgio. Sarà Carmen Lasorella a intervistarlo per il Tg2 (5/6 minuti forse più). Si scoprirà così il profilo di questo personaggio, un imprenditore in Somalia dagli anni ’80: sarà lui, nessuna autorità italiana presente a Mogadiscio in quel periodo, a recarsi sul luogo dell’agguato il 20 marzo 1994, o forse era già lì: avrà e ha un ruolo ambiguo in tutta questa tragica storia. “Collaboratore” in alcune inchieste sull’esecuzione, mai indagato, interrogato come testimone solo nel primo processo ad Hashi su richiesta della parte offesa, Giorgio e Luciana Alpi; oppure indagato da altre Procure inquirenti su traffici di armi e di rifiuti tossici.
La Procura della Repubblica di Roma, PM dott. Pietro Saviotti, fascicolo N. 15148/93 R apre un’indagine su Marocchino e sulle accuse nei suoi confronti: i procedimenti saranno archiviati con un decreto il 17/7/1995!! Si sa però, dallo stesso fascicolo, che il 22.12.1993 l’ambasciatore Mario Scialoja fa pressioni sul quartier generale di Unosom2 perché Marocchino sia autorizzato a rientrare in Somalia, comunicando l’avvenuta archiviazione da parte della Magistratura italiana delle accuse a suo carico. Ma è falso. Già il 18.1.1994 per UNOSOM il generale Howe firma la revoca del provvedimento di espulsione. Marocchino è già a Nairobi, rientrerà a Mogadiscio a fine gennaio 1994.
Era anche accusato di complicità coi fatti del 2 luglio 1993, noti come combattimento del check point pasta: vengono uccisi 3 soldati italiani e feriti 22; almeno 67 somali vengono uccisi, oltre 100 feriti. Si legge in un appunto di Ilaria Alpi:” la ricostruzione di quella giornata non c’è ancora e forse quel che davvero accadde non lo sapremo più”. Subito dopo colpisce una nota che non è legata al racconto che sta facendo. Scrive: “350 marines sbarcano a Bosaso (Migiurtinia) forse per una operazione per estendere l’intervento fino al golfo di Aden”
L’uccisione di Vincenzo Li Causi e della crocerossina Cristina Luinetti
Ilaria il 12 novembre 1993 è ancora in Italia quando apprende dell’uccisione in un agguato a Balad di Vincenzo Li Causi, un maresciallo del SISMI che conosce e che doveva rientrare a Trapani un paio di giorni dopo per testimoniare al processo su Gladio, la struttura segreta dell’intelligence militare, di cui era responsabile e collegata probabilmente con l’inchiesta sull’uccisione di Mauro Rostagno il 20 settembre 1988. Le circostanze dell’agguato sono incerte, si parla di “fuoco amico”, anche per lui non si eseguirà l’autopsia. Il 9 dicembre 1993 Cristina Luinetti è assassinata in circostanze complesse non del tutto chiarite, fuoco amico? Ilaria la conosceva: la mattina del 14 marzo del 1994, parteciperà a Johar (a nord di Mogadiscio) all’affissione di una targa in sua memoria, subito dopo partirà per Bosaso dove arriverà la sera stessa.
Africa 70, una ONG che lavora a Bosaso direttamente col Ministero degli esteri dall’autunno 1993
Nessuna indagine ha approfondito ruolo e storia di questa ONG, con la considerazione che Bosaso era un posto “insignificante, poco importante”. Ma Ilaria la pensava diversamente, come abbiamo già detto a proposito dei 350 marines.. E ancora frasi che indicano Bosaso come un porto importante e il centro economico e finanziario di tutta la regione del nord est della Somalia. “Sono la pesca e le tasse portuali i maggiori introiti della città… proprio per questo negli ultimi mesi si è scatenata una specie di pirateria, giustificata all’inizio come lotta della pesca di frodo “: qui si interrompe il testo.
Si sa che Africa 70 è un’associazione che a Bosaso fu inviata per la prima volta tra agosto/settembre 1993 insieme a Yusuf Ismail detto Bari Bari, rappresentante in Italia del SSDF (Somali Salvation Democratic Front). Si tratterà di un “progetto di emergenza” finanziato con un miliardo e 300/400 milioni di lire”. Saranno ascoltati diversi cooperanti di Africa 70, a loro dire, per la prima volta dalla commissione d’inchiesta 2004/2006 presieduta dall’avvocato Carlo Taormina.
Ilaria forse non conosceva ancora la storia di questa ONG. Non saprà mai che l’aereo che le faranno perdere il giorno 16 marzo è lo stesso che riporta da Gibuti tutto lo staff di Africa ’70, dopo che fu costretto a lasciare Bosaso da una diffida, una espulsione, il 19 gennaio 1994, delle autorità del luogo con pesanti accuse di appoggiare la pesca clandestina. Una questione che aggrava la situazione a Bosaso, spacca il SSDF sull’accordo con la Federpesca (potremmo dire la Shifco italiana): molto più che di pesca si tratta quindi.
Il sequestro della nave Farax Omar sulla quale forse Ilaria aveva chiesto di andare
Il sultano Bogor Mousse chiede ad Africa 70 di rientrare a Bosaso mentre la Farax Omar (uno dei pescherecci di Mugne) il 3 marzo sarà sequestrata in mezzo a torbide vicende e dichiarazioni confuse e gravi del capitano italiano del peschereccio, Nazareno Fanesi, dell’ambasciatore Mario Scialoia che in quei giorni si recò a Bosaso, alludendo anche a Ilaria Alpi nella sua audizione. Una vicenda di cui si occupa anche il generale Carmine Fiore, come racconterà già nel 1995 alla Commissione bicamerale d’inchiesta a proposito di una nave sequestrata davanti a Bosaso. Non ricorda il nome della nave nè la proprietà: era la Farax Omar della Shifco di Mugne; aveva però progettato di andare a liberare il capitano della Farax Omar di cui non conosceva il nome (si trattava di Nazareno Fanesi, con altri tre uomini)! E comunque il suo progetto non si realizzò, disse, ma continuò a non ricordare e a raccontare bugie.
Ci sono davvero volute “menti raffinatissime” come diceva Giorgio, ricordando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e il filo rosso di sangue che ha percorso l’Italia a partire da Portella della Ginestra.
Giorgio e Luciana non ci sono più: stanno insieme a Ilaria, forse su “Una Stella di nome Ilaria Alpi”: la stella iA_V1. La luce della stella di nome Ilaria illuminerà il cammino della comunità #NoiNonArchiviamo che diventerà sempre più grande e continuerà l’impegno determinato per giustizia e verità.