Anni di carcere, accuse inventate di sana pianta, soprusi d’ogni genere e un’autentica forma di tortura, psicologica e fisica, non hanno piegato né Narges Mohammadi né suo marito Taghi Rahmani, che in quest’intervista racconta e si racconta. La loro vita privata, i loro sogni, le loro speranze, le loro lotte, l’evoluzione di un paese, l’Iran, perennemente in bilico fra arretratezza e modernità e le nuove forme di passione civile, incarnate dalle ragazze e dai ragazzi del movimento “Donna, vita, libertà”: questo e molto altro è racchiuso in questa conversazione realizzata, in occasione della visita di Rahmani in Italia per partecipare al Festival delle Culture organizzato dal Comune di Ravenna (al suo fianco c’erano il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, e l’attivista Parisa Nazari, cui va la nostra gratitudine per aver tradotto simultaneamente l’intervista).
Del resto, non li abbiamo mai lasciati soli e non lo faremo neanche adesso, meno che mai in un momento così delicato, in cui anche l’Occidente vede messe a repentaglio le proprie libertà e i propri diritti.
Guai, infatti, a dare per scontate le conquiste democratiche: è il monito di Taghi Rahmani, che oggi vive in Francia e ci mette in guardia sui rischi che stiamo correndo.
E guai, infine, a sottovalutare la pericolosità dei regimi, che si insinuano nelle nostre società e le distruggono, proprio com’è avvenuto in Iran. Eppure, la resistenza, nonostante tutto, continua. E noi continueremo a illuminarla.