80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

“La Mite” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Teatro Donnafugata, Ragusa Ibla

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Con Giovanni Arezzo e Alessandra Pandolfini

Regia di Valeria La Bua e Davide A. Toscano.

Produzione Teras Teatro con Teatro del Canovaccio.

Interno notte. Un uomo, una donna. La vita e la morte. Nel mezzo, un demone. L’ennesimo per Dostoevskij. Quello dell’amore e del possesso, antitesi spaventosa e delirante. La prevalenza della parola e della forza di Lui, la remissività, la fragilità ed il silenzio di Lei. Uno scontro impossibile, disumano, che il genio russo aveva tratto da una storia vera per farne un paradigma della difficoltà, o forse dell’impossibilità, di comunicare, capirsi, accettarsi. Il rapporto vittima-carnefice viene veicolato da un monologo interiore (esplicitato sul palcoscenico da uno straordinario Giovanni Arezzo) carico di una disperazione che stenta ad avere eguali in ambito teatrale e letterario. Soltanto lo Zampanò de “La strada” di Fellini arriva a sfiorare l’intensità dolorosa del protagonista de “La Mite”, che sente di aver perso tutto, anche il senso dell’umano, dopo la morte di Lei, annullata fin dentro la sua insieme fragile e potente sensibilità. Non c’è guerra psicologica tra Lui e Lei, il primo ha già vinto, anche facile, e tocca a noi spettatori assistere allo spaventoso “come”, alla sconfitta dell’Umanità, laddove avrebbe dovuto trionfare il sentimento più alto, l’Amore, distrutto e vilipeso dall’altro Uomo che alberga in ciascuno di noi, quella Bestia immonda che fa paura proprio perchè profondamente “umana”, possibile a disvelarsi in ogni momento. Dostoevskij arriva al limite di tutto, ci fa toccare il vertice del sentimento e l’inferno della sua negazione. Il silenzio di Lei (la bravissima e keatoniana Alessandra Pandolfini) è la sintesi di tutto, l’assoluta consapevolezza di una sconfitta che l’autore di “Delitto e castigo” esplicita fino all’annullamento totale, alla dissoluzione definitiva.

Notevole la regia di Valeria La Bua e Davide A. Toscano, capace di esaltare tutte le componenti dello scritto dell’autore russo, riversate sul palcoscenico in una sintesi che non lascia scampo allo spettatore, inchiodato a meditare su cosa il genere umano possa produrre, al di fuori di ogni contesto spazio-temporale. Questo siamo, e già esserne consapevoli, attraverso l’Arte, è una grande conquista. Sta alla Storia aggiungere quel tassello in più che ci renda altri dalla nostra “mostruosa” natura.

Meritati gli scroscianti applausi finali ai due protagonisti in scena.


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