Guardarsi in faccia e pensare alle persone in pericolo di vita a causa di un reato portato avanti dal nostro governo. Mercoledì 19 marzo, nel giorno del suo onomastico Beppe Caccia, 57 anni, l’armatore della “Mare Jonio”, il rimorchiatore di salvataggio della Ong Mediterranea Saving Humans impegnato nel soccorso a chiunque sia in pericolo nel canale di Sicilia, si troverà di fronte alla polizia postale, incaricata dalla Procura ordinaria e da quella antiterrorismo di Venezia delle indagini tecniche sullo spionaggio a cui è stato sottoposto da parte del governo italiano. Un’attività illegale che espone ora a pericoli mortali i testimoni che erano in grado di ricostruire i traffici di generali, spioni, politici e petrolieri nella grande cloaca politico-energetico-militare che si sta dimostrando la gestione del “Dossier Libia”.
Perché è chiaro che solo il governo italiano risponde dell’operato dei servizi segreti e delle forze di polizia e sono proprio questi che hanno inserito nel cellulare di Caccia il programma di spionaggio “Graphite”, l’ormai famoso “spyware” della società israelo americana Paragon Solutions, capace non solo di inserirsi in qualsiasi apparecchio elettronico senza nemmeno il bisogno di cliccare sui temutissimi link, registrare e spiare quanto fate o dite, ma in grado anche di “prendere possesso” delle vostre cose e del vostro pensiero, inviando ad esempio messaggi e mail a vostro nome senza che voi ve ne possiate accorgere, copiare la vostra voce con l’ausilio di sistemi di intelligenza artificiale e farvi dire quello che vuole lui a chi vuole lui.
Una vera e propria “macchina da guerra” sul mercato militare, creata per scopi militari e che – secondo Paragon – viene fornita, a costi stratosferici, “solo a governi alleati (verrebbe da chiedersi “di chi?”) che abbiano standard democratici consolidati per obiettivi legali”, quindi che, proprio per avere un uso legale in Italia, va autorizzata da un magistrato e mai per intercettare giornalisti.
Che non sia stato così lo dimostra il messaggino che la piattaforma Whatsapp ha inviato il 31 gennaio a 90 persone di 13 Paesi europei: “Ci avvertiva – spiega Caccia _ che da dicembre Meta (titolare di Whatsapp) aveva rilevato attività di intercettazione nei nostri confronti e ci informava anche che se eravamo giornalisti o attivisti politici o sociali, potevamo rivolgersi al Citizen Lab dell’Università di Toronto, un’importantissima istituzione accademica canadese che si dedica alla protezione di attivisti e giornalisti da attacchi informatici o spionaggio”.
Un gruppo di 50 ricercatori costituito dopo “l’affaire Pegasus”, che dispone di programmi autoprodotti per rilevare le più sofisticate operazioni illegali e che è stato capace di tirare una bacchettata sulle mani a chi usava il programma Graphite. “Proprio grazie al rapporto instaurato con il Citizen Lab – continua Caccia – abbiamo saputo che l’intrusione c’era stata ed era stata massiccia, ma anche che Paragon concede l’uso di Graphite solo dopo che i governi “alleati e democratici” firmano l’accettazione di un codice etico”.
La risposta del governo italiano arriva lo scorso 5 febbraio, con una nota non firmata, ma riconducibile al sottosegretario con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, che smentiva lo spionaggio nei confronti di giornalisti e che affidava le indagini “alle agenzie di cybersicurezza”, quindi alle stesse sospettate di aver organizzato le intercettazioni attive.
Poco dopo Paragon Solutions, in una nota affidata ai quotidiani “Guardian”, britannico, e “Haaretz”, israeliano, fa sapere che la società aveva rescisso i contratti con “due agenzie del governo italiano per violazione del codice etico”. A questo punto non può non venire in mente che le “agenzie” di spionaggio in Italia sono solo due, Aisi (Agenzia informazione per la sicurezza interna) e Aise (per quella estera). Forse già una prova di chi è l’autore dello spionaggio. Ma anche di chi sono i mandanti o comunque i responsabili: entrambi le agenzie rispondono direttamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica.
“La risposta del governo è stata fumosa. – nota Caccia – Il ministro per i Rapporti con il Parlamento (Luca Ciriani) – ha prima detto che non c’era stata alcuna rescissione con Paragon, poi la sera della finale di Sanremo, il 15 febbraio, alle 21.30 un lancio Ansa annunciava che il governo aveva confermato la rescissione del contratto”.
Di qui il balletto di Ridolini: tutte le forze di polizia hanno dichiarato di non avere l’autorizzazione all’uso di Graphite (anche per i costi spropositati dello spyware proprio quando lo stesso governo chiede la restrizione all’uso delle intercettazioni per i loro “costi immani”), mentre ancora il sottosegretario Mantovano ricompariva dall’ombra per annunciare che la questione non sarebbe stata discussa in Parlamento perché conteneva informazione classificate, demandando la cosa al Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), per finire con il ministro della Giustizia Carlo Nordio che in piena tempesta si limitava a dire che “la polizia penitenziaria non aveva in uso Graphite”.
Insomma, il classico pasticcio all’italiana, una cortina fumogena sicuro preambolo per fare cadere la questione nel dimenticatoio.
“Proprio per evitare questo io e gli altri intercettati italiani finora emersi dai controlli di Whatsapp abbiamo presentato denuncia alla Procura”, spiega Caccia, “imitati solo dall’Ordine e dal sindacato dei giornalisti”.
Guardiamo quindi i cinque intercettati che hanno presentato denuncia. Oltre a Caccia ci sono Luca Casarini, storico leader dei disobbedienti e tra i fondatori di Mediterranea di cui è nel Consiglio direttivo, che ha presentato denuncia a Palermo; Francesco Cancellato, giornalista, direttore del quotidiano online Fanpage, cioè la testata che ha svolto le inchieste più esplosive sulla gestione dei rifugiati in Italia ed Europa, che ha presentato denuncia a Napoli; don Mattia Ferrari, sacerdote cattolico modenese, cappellano di bordo di Mediterranea Saving Humans, che ha presentato denuncia a Bologna e David Yambio, giovane rifugiato Sud sudanese, presidente della Ong “Refugees in Libya” che raccoglie le testimonianze delle violenze, torture, stupri e omicidi subiti da uomini, donne e bambini nei campi di prigionia libici (sovvenzionati dal nostro governo).
Ma Yambio è anche la stessa persona che al Parlamento Europeo aveva spiegato come lui nel 2019, all’arrivo in Libia in fuga dai massacri del Sudan, era stato catturato dalla milizia guidata dal boia libico Osama Almasri, torturato nella prigione di Mitiga (controllata dallo stesso Almasri) e costretto alla schiavitù. Non solo. Al Parlamento di Strasburgo Yambio ha testimoniato: “Sono stato torturato proprio da Almasri e ho assistito agli omicidi di molte altre persone”.
È da questo punto che il giovane rifugiato ha cominciato a ‘dare fastidio’ al governo Meloni. Yambio ha iniziato, già in Libia, a documentare le violazioni dei diritti umani “nella speranza che arrivasse giustizia”, e – da quando ha fondato Refugees in Libya – a “lavorare con istituzioni internazionali, organi giudiziari, inclusa la Corte penale internazionale (Cpi), per garantire che possano fare qualcosa perché sono la nostra unica speranza”.
La decisione del governo italiano di non consegnare il suo torturatore a L’Aia, ma anzi di rimandarlo con un volo di Stato libero in Libia, l’ha “devastato”. Davanti agli eurodeputati il giovane attivista non ha usato mezzi termini: “Il primo ministro Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano sono immediatamente responsabili”, ha attaccato. E poi ha posto “la” domanda, quella che fa tremare i polsi: “Le notizie che qyuesti servizi segreti hanno estrapolato dal mio telefono a chi sono state date? Forse al mio torturatore che sta continuando la sua attività contro tante persone inermi?”
“Ora – rivela Caccia – sembra imminente una rogatoria internazionale con Meta (titolare di Whatsapp, Paragon e il Citizen Lab. Abbiamo assistito a un’attività di spionaggio sofisticatissima contro chi stava cercando di fare chiarezza sul ruolo svolto dalle istituzioni democratiche italiane nel grande “buco nero” del dossier Libia oltre che contro chi cerca di salvare vite umane nel Mediterraneo”.
Una lista di spiati che sembra destinata ad allungarsi. “La sgradevole sensazione che questa attività illegale contro persone attive nella difesa dei diritti umani non sia un caso isolato c’è – dice Caccia – e che questo sia collegato all’arresto e rilascio di Almasri, un ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità con ben 38 capi d’imputazione, si fa via via più concreta. Si sta cercando di coprire qualcosa d’indicibile nei comportamenti dei governi italiani, della Ue e di altri apparati in Libia e nel Mediterraneo”.
Dal punto di vista tecnico non è ancora chiaro se tutta l’attività di spionaggio è legale o illegale. Per il caso del direttore di Fanpage, Cancellato, è sicuramente illegale dato che la Legge europea “Atto sulla libertà dei mezzi d’informazione” vieta questo genere di operazioni. Ma anche nel caso degli altri quattro spiati l’intercettazione da parte dei servizi segreti dev’essere autorizzata su richiesta del governo dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma per reati come il terrorismo o situazioni di imminente pericolo per la sicurezza nazionale.
“Se la cosa è legale, cioè se c’è stata l’autorizzazione del magistrato vorrei guardare negli occhi chi l’ha richiesta e chi l’ha autorizzata – spiega Caccia – vorrei chiedere loro se pensano veramente che attività che costituiscono la difesa dei diritti fondamentali della persona sia paragonabile da questo governo al terrorismo. Se proteggere le vite di uomini, donne e bambini sia per gli attuali governanti un pericolo per la sicurezza nazionale o un atto di terrorismo”.
Ma ancora più grave sarebbe se l’attività fosse completamente illegale, cioè se fosse stata portata avanti (come nel recente passato sotto il governo Berlusconi) senza l’autorizzazione di un magistrato, cioè se fossero tornati i servizi deviati che furono tanto attivi non solo durante gli anni di piombo e delle stragi di Stato, ma anche da quelli paralleli del caso Pollari – Pompa – Farina.
“Una vicenda inquietante per lo stato di salute della democrazia – attacca Caccia -se emergesse il controllo illegale delle organizzazioni che si battono per i diritti civili vorrebbe dire che il “malaware” politico è stato iniettato di nuovo all’interno del sistema democratico”.
Quante altre persone e chi potrebbe essere stato intercettato dai servizi con Graphite o altri sistemi?
“Credo che altre cose stiano per emergere – racconta Caccia – con Amnesty International e il Citizen Lab stiamo facendo un enorme lavoro sulla mappatura dei telefoni e dei computer. I 90 scoperti da Whatsapp sono la punta dell’iceberg di attività operative che vanno a colpire il dissenso, cioè il pensiero non allineato”.
Infine il pensiero torna ancora a chi, da questa attività, è stato messo in pericolo di vita. “Nel telefono mio, di Luca Casarini, di don Mattia e di David Yambio ci sono i contatti e le storie di persone che si trovano ancora in Libia e che, rischiando, hanno accettato di esporsi, di testimoniare davanti alla Corte penale internazionale. Ora la loro vita è appesa a un filo per colpa di un’azione illegale di uno stato democratico che ha rimandato libero con un volo di Stato il boia della base-prigione di Mitiga e che magari gli ha passato proprio queste informazioni”.